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Ma Israele è più forte e Teheran più isolata

5 mesi fa 3
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Israele e il Medio Oriente sono molto diversi oggi dal 7 ottobre 2023. Se lo scopo di Hamas era di rompere gli equilibri regionali, oltre che incutere terrore e lasciare una traccia di barbarie inaudita, il Movimento della resistenza islamica li ha conseguiti entrambi. La traccia terroristica è indelebile. Pure i rapporti di forza regionali sono profondamente alterati, ma la piega che stanno prendendo è ben lontana dai desideri di Hamas, nel frattempo decimato. Messo alle corde, costretto a combattere, Israele combatte. Come sempre in 76 anni di storia, sta vincendo le sue guerre, adesso quelle accese dalla scintilla del 7 ottobre: a Gaza contro Hamas, in Libano contro Hezbollah, negli scambi dal cielo con l’Iran. Vincere la pace, quando le armi taceranno, prima o poi lo faranno, è un traguardo più sfuggente che lo Sato ebraico, con la complicità degli avversari, ha spesso fallito altrimenti non ne avrebbe combattute così tante. E il dopo queste guerre rimane incerto. Gerusalemme non ha opzioni agevoli né per l’amministrazione di Gaza (da ricostruire) né per mettere in sicurezza il Sud del Libano ed evitare che Hezbollah, sconfitto militarmente, risorga politicamente come non-Stato che controlla lo Stato libanese. L’Iran può assorbire un pesante cappotto militare. La chiarezza degli obiettivi di guerra di Benjamin Netanyahu si stempera in vaghezza sul cosa fare dopo. Ma, per il momento, Israele ha ristabilito una pressoché assoluta supremazia militare e strategica nella regione. Quella vantata dall’Iran si sta sgretolando. E in Medio Oriente quando si spostano i piatti della bilancia di forza tutto cambia.

Gli anniversari, specie tragici, sono tempo di bilanci. Dal massacro del 7 ottobre – e’ importante tener sempre presente che non fu un “attacco” ma una strage di civili inermi, con lo strascico non ancora chiuso degli ostaggi, altrimenti non si afferrano le dinamiche che ne sono seguite – ci sono state tre grosse scosse agli equilibri regionali e internazionali. Prima, prevedibile, la guerra di Israele contro Hamas, che ha avuto conseguenze umanitarie disastrose sui due milioni di palestinesi di Gaza. La seconda, l’allargamento del conflitto a Hezbollah e alle altre milizie sciite pro-Teheran, fino agli Houthi nel non vicino Yemen, ha finito col coinvolgere direttamente il dante causa iraniano. Infine, il Medio Oriente si è confermato sempre più ostico all’influenza delle grandi potenze, o perché in calo vertiginoso d’influenza (Stati Uniti) o perché rinunciatarie o non interessate, se non a parole (Cina, Russia, Europa). Contano di più gli attori locali come Egitto, Qatar, Arabia Saudita, Eau, Giordania. Questa riappropriazione regionale può non essere sempre virtuosa in quanto ciascuno ha un’agenda d’interessi e timori nazionali, ma è un dato di fatto. Oggi, per far diplomazia in Medio Oriente bisogna passare anche da Riad o da Doha. Sullo sfondo, il sovrapporsi dell’irrisolta questione palestinese, acuita dall’opportunismo dei coloni israeliani che hanno visto nel terrorismo di Hamas il pretesto per violenze contro i palestinesi in Cisgiordania, con le ambizioni geopolitiche di supremazia regionale dell’Iran. Queste ultime vedono gli Stati arabi sunniti, Arabia Saudita in testa, in diretta competizione con l’Iran e fanno di Israele un alleato naturale, ed essenziale, in funzione anti-Teheran, sulla scia degli Accordi di Abramo fra Israele e gli Emirati. A una condizione, posta più o meno esplicitamente dai sauditi: la soluzione due Stati per i palestinesi, gazeuani compresi.

Netanyahu non ne vuol sentir parlare e, col 7 ottobre, Hamas gliene ha fornito un eccellente alibi che fa presa sulla sua opinione pubblica. L’Iran “usa” la causa palestinese per tenuta interna del regime, che dal 1979 ha nel Dna costitutivo l’annientamento di Israele, per accerchiare Israele con un ventaglio di milizie, anche non sciite (Hamas), e per mobilitare la piazza araba. Cos’è successo in questi dodici mesi? La dura offensiva israeliana contro Hamas a Gaza, con pesanti conseguenze umanitarie, ha visto Stati arabi e Iran apparentemente dalla stessa parte. I primi, per solidarietà con i palestinesi, frustrata dal fallimento della diplomazia americana e araba sul cessate il fuoco a Gaza; Teheran, per farne un casus belli per procura dando il via libera a Hezbollah e milizia varie contro Israele. Ma quando Israele, stanco di essere preso a bersaglio da razzi che avevano costretto allo sfollamento di sessantamila frontalieri, ha aperto il fronte Nord contro Hezbollah e reagito colpendo direttamente o indirettamente anche l’Iran, lo schieramento arabo anti-iraniano si è tacitamente ricomposto.

Oggi, con la guerra definitivamente spostata contro Hezbollah in Libano e, prevedibilmente, verso uno scontro con l’Iran, Gerusalemme è molto meno isolata, regionalmente e internazionalmente, di quanto non fosse – o non sarà – nelle operazioni a Gaza. Non che i civili libanesi meritino meno solidarietà dei palestinesi della Striscia ma per il Cairo come per Washington il Libano si è lasciato colonizzare da Teheran, via Hezbollah. Se l’Idf demolisce il Partito di Dio e ridimensiona l’influenza iraniana, tanto meglio. Non sappiamo è fino a che punto salirà il conflitto fra Israele e Iran. Senz’altro il più grave. Sarà Gerusalemme a fare il prossimo passo. Dicendo che l’operato di Hamas il 7 ottobre è stato “legittimo”, la Guida Suprema sembra quasi invitare Israele a colpire duramente. Forse l’anziano Ali Khamenei cerca il martirio.

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