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«Martina Ciontoli detenuta modello? Non credo lo meriti, non ci ha mai scritto nemmeno una lettera di scuse o di pentimento». Marina Conte, mamma di Marco Vannini, commenta così la notizia dell’uscita di cella dal carcere di Rebibbia dell’ex fidanzata del figlio per andare a lavoro all’esterno e in un attimo rivive quegli anni di battaglie nei tribunali per avere giustizia. La tragedia il 17 maggio del 2015. Il giovane cerveterano, 20 anni, si trova nella villetta ladispolana dei genitori di Martina, per trascorrere lì la serata. Improvvisamente però viene centrato da un colpo di pistola. Di quello sparo si è attribuito la responsabilità Antonio Ciontoli, sottufficiale della Marina e dei servizi segreti, ma in casa erano presenti anche la moglie, Maria Pezzillo, e i figli, Martina e Federico con la fidanzata di quest’ultimo, Viola Giorgini. Nessuno attiva i soccorsi in tempo per poter salvare il povero Marco, ferito e insanguinato: morirà al pit di Ladispoli dopo un’assurda agonia durata più di 3 ore. Per questa storia la Cassazione, nel processo bis, il 3 maggio 2021, ha condannato per concorso in omicidio volontario con dolo eventuale a 14 anni di carcere Antonio Ciontoli e a 9 anni e 4 mesi per lo stesso reato il resto della famiglia. Da quel giorno sono tutti in galera e ora Martina ha ottenuto dal Tribunale di sorveglianza la possibilità di lavorare al bancone di un bar del Ministero della Giustizia dal lunedì al venerdì dalle 7.30 alle 14.30.
Come avete accolto questa decisione?
«Direi non benissimo e non tanto perché non crediamo nel reinserimento dei detenuti, del resto lo prevede la legge e l’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario. Però quello che ci domandiamo con mio marito Valerio è come possa essere considerata detenuta modello proprio lei che non ci ha mai cercato, nemmeno per dirci che le dispiaceva per quanto accaduto. Si è veramente pentita? Non credo».
Martina Ciontoli non vi hai mai contattato?
«È in carcere da maggio del 2021 e non ha mai avuto un segno di pentimento, nemmeno in questi tre anni e mezzo. Ce lo saremmo aspettato ma niente, almeno il fratello durante il processo una letterina l’ha letta. Visto che ora ha ricevuto questa sorta di premio, diventando in cella un modello da seguire, avrà una coscienza per dirci esattamente quello che è avvenuto in quella casa la sera in cui è morto mio figlio».
Pensate, a distanza di tempo, ci siano ancora dei punti oscuri della tragedia?
«Lo abbiamo sempre detto, abbiamo ottenuto giustizia, dopo cinque processi, ma la verità non l’abbiamo mai saputa. Solo chi era dentro in quella casa la conosce, Martina inclusa. Verità che tengono ben nascosta, però mirano al reinserimento nella società come se non fosse successo niente. E invece è successo che il nostro angelo biondo, un giovane bellissimo con tanta voglia di vivere, ce lo hanno portato via. Chiedeva aiuto dopo essere stato ferito, non posso dimenticarlo. Come si possono dimenticare quelle urla nelle registrazioni del 118?».
Martina nel frattempo si è laureata in Scienze Infermieristiche con 110 e lode, lo sapeva?
«In realtà è opportuno specificare che lei ha conseguito gli studi durante il periodo del processo, quindi prima della condanna definitiva. Non mi sembrava fosse così turbata dalle aule di tribunale. Ora è stata radiata dall’albo, come sono stati interdetti i suoi familiari dai pubblici uffici».
Vi aspettate comunque un approccio da parte sua?
«Non lo ha fatto mai nelle udienze, anzi quando ci vedeva si girava dall’altra parte. Non si è mai sentita. Bisogna dimostrare di essere delle persone modello».
In questo periodo si è parlato anche della villetta dei Ciontoli dove è avvenuta la tragedia. Andrà all’asta?
«Bisogna specificare che avremo semmai una piccola parte dei soldi ricavati dall’asta, considerando gli aspetti bancari e gli interessi maturati nel tempo».
Come ha sostenuto il vostro legale, i Ciontoli, un mese dopo il delitto, presero 80mila euro in prestito dalla banca e misero come garanzia la loro casa con ipoteca al doppio ma non pagarono le rate. È così?
«Anche da questa storia legata a un bene materiale emerge come si fossero attivati già nei giorni seguenti all’omicidio solo per i propri tornaconto personali, pensando di poter recuperare tutto e vendendo anche dei beni in loro possesso».
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