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Mastella: “Perché la politica si fa anche con le clientele”

20 ore fa 1
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«Deve scrivere che nella politica recente ho il Guinness dei primati», ci dice così Clemente Mastella quando, dopo qualche convenevole, ripercorriamo insieme il curriculum: «Ministro del Lavoro con Berlusconi, della Giustizia con Prodi, sottosegretario alla Difesa, vicepresidente della Camera, nove volte parlamentare italiano sin dall’età di 29 anni, due volte europeo, ho fatto tutto, anche il consigliere regionale, il sindaco prima nel Comune dove sono nato e poi in quello capoluogo, tra un anno festeggio 50 anni di presenza nelle istituzioni».

Come iniziò?
«Avevo fondato un gruppo di giovani cattolici, leggevamo tutto, sia gli atti del Concilio sia l’Espresso che allora era vietato dagli ecclesiastici. Scrissi a De Mita per discutere con lui proprio del rapporto tra politica e cattolici. Fu colpo di fulmine».

Come vede tutto questo fermento di Romano Prodi?
«Come una sorta di ammenda rispetto a un errore storico clamoroso. Combinare, a freddo, comunisti e democristiani in un solo partito non ha funzionato. Sommati hanno preso meno voti di quando erano separati. Se volessero fare una cosa seria dovrebbero rifare la Margherita».

L’incontro con Ciriaco De Mita 

Si dice da dieci anni.
«Senza il centro non c’è partita con Schlein che gioca a chi è più a sinistra. Lo spazio c’è, ma ci vuole coraggio. Dovrebbero uscire dal Pd quelli più moderati, invece hanno paura di non avere più il posto in lista».

Ovviamente lei sarebbe disponibile.
«Se vogliono fare una cosa seria… La Margherita già la feci una volta. I fondatori erano l’Asinello di Prodi, il Ppi di Marini, Dini e io. Ricordo quando, a piazza Santi Apostoli, dovevamo chiudere le liste. Non mi volevano dare un candidato in Puglia. Diceva Parisi: tra 10 minuti dobbiamo andare al Viminale. Risposi: non me fotte niente. Alla fine me lo diedero».

E Ruffini?
«Non può stare a metà strada. La scelta o la fa o non la fa. Sia evangelico: si sì, no no».

Si guardi attorno: chi è più poltronissimo di lei?
«Scusi l’immodestia, ma nessuno. Io le mie poltrone me le sono conquistate, agli altri le hanno regalate. Poltronissimo senza preferenze? Non vale. Pensi che fui determinate financo nel ’94. Senza i miei parlamentari Silvio non avrebbe fatto il governo. In quella circostanza fui eletto senza accordi con la destra. Fummo in due, io e Remo Gaspari in Abruzzo».

Lei è diventato un genere. Se uno cambia casacca, gli si dice: sei come Mastella.
«Azz… Loro hanno fatto l’accordo coi Cinque stelle, con la Lega, con Berlusconi, tecnici e contro-tecnici, e usano me come un attaccapanni dell’immoralità politica. Ma mi facciano il piacere, come si dice dalle mie parti. E basta con questa storia che ho fatto cadere il governo Prodi. Gli avevo fatto vincere le elezioni con i miei voti determinanti in Campania e mi hanno lasciato solo. Poi non hanno più rivinto».

Ministro con Romano Prodi 

Quale è la poltrona che le manca o che avrebbe voluto?
«Mi sarebbe piaciuto fare il ministro della Difesa. Quando lo chiesi a Prodi, mi disse: “Sai c’è Parisi, ci tiene, è stato alla Nunziatella”. E io finii alla Giustizia perché Napolitano e Prodi decisero che a via Arenula doveva andare uno che non si era occupato di giustizia. Quindi io andai lì e Giuliano Amato all’Interno».

Non è finita bene.
«Prima di giurare chiamai Cossiga. Mi disse: “Ti faccio i miei auguri. Sappi che, da questo momento, ci saranno due o tre procure che indagheranno su di te, tua moglie e i tuoi figli”. Fu profetico».

A Nordio per ora sta andando bene. Faccia il profeta lei ora.
«I tempi sono cambiati, la magistratura non è quella di vent’anni fa. Però, occhio, che non sempre va tutto va nel verso che pensi. Consiglio maggiore accortezza. Oltre a Cossiga, allora chiamai Andreotti. In quel momento era in pieno calvario giudiziario. Mi disse: “Tu puoi recuperare un rapporto con la magistratura, ce n’è bisogno”. Pensi la saggezza democristiana».

Troppa baldanza oggi?
«Se la imposti come guerra ai magistrati la paghi. Pure Salvini… Ti hanno assolto, che motivo c’è di insistere con la separazione delle carriere? L’assoluzione dice che la separatezza di giudizio c’è stata. Il processo è finito in primo grado, ma poi c’è il secondo. Prudenza».

Vuole il Viminale.
«Resterà Piantedosi, che peraltro è bravo. Salvini al Viminale non ci torna. Tra le altre cose, ha anche il problema della Russia».

Che cosa è per lei il potere?
«Il potere, nella nostra tradizione cattolica, era servizio. Pensi alla mia gente del Sud. Fare assunzioni non era clientela: la grande industria aveva il contributo dello Stato, il povero cristo che facevo entrare alle poste era un risarcimento pubblico».

Beh, avete sistemato un bel po’di gente.
«Embè? Mi ricordo che una volta, un giornalista mi chiese aiuto per far ricevere un banchiere da De Mita. Aveva una trentina di posti da piazzare, tra ragionieri e segretari. Gli dissi: dagliene venti. E così fu. Ciriaco fece una telefonata e indicò i nomi. Finito l’incontro, accompagnandolo alla porta, gli diedi gli altri dieci nomi, i miei. Quella era politica, mica tangenti».

Chi ha oggi il potere in Italia?
«Di certo non il Parlamento. Conta più il sindaco di una città media rispetto a un deputato. Conta certo l’Europa, sebbene politicamente in crisi, ma il potere di condizionamento ce l’ha ancora. Vedi quanto si è adattata Giorgia Meloni. E contano le banche anche se la Meloni non ha il problema di Berlusconi. Lì potevano fargli fallire le aziende».

Il sostegno al Cavaliere 

Vista da Mastella: quanto dura Giorgia Meloni?
«Fino a fine legislatura, senza dubbio. È fortunata perché non ha alternativa e in Europa stanno messi tutti male. E poi si muove bene. A vent’anni fanno tutti i rivoluzionari, al governo diventano tutti moderati. Urla un po’ troppo ma nella sostanza non fa rivoluzioni».

Consiglio?
«Per reggere a lungo serve una classe dirigente. In Italia i cicli politici durano sempre meno, vedi Renzi, i Cinque stelle poi Salvini».

Il prossimo Parlamento eleggerà il successore di Mattarella.
«E già si vedono diversi aspiranti…. Tajani, ad esempio, ma i leader non ce la fanno mai: tra Fanfani e Moro arrivò Leone. Belloni è donna, ma un ex capo dei servizi non ci può andare. Il mio amico Pier (Casini ndr) è il candidato naturale se vince il centrosinistra».

È prematuro, ci stiamo spingendo troppo in là.
«Sì, ma tieni d’occhio come la Meloni tratta Draghi. Garantisce il sistema, dall’Europa a Bankitalia. Per lei è uno scudo. Non crociato, ma pur sempre scudo».

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