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Il presidente più longevo della storia della Repubblica, il secondo più votato in assoluto dopo Sandro Pertini, una popolarità certificata in tutti i sondaggi, cinque governi fatti nascere, un tot di crisi istituzionali gestite. Ma, alla fine, nei dieci anni di Sergio Mattarella al Quirinale – la prima elezione fu appunto oggi, cioè il 31 gennaio, ma del 2015 – c’è anche molto di più. Non solo il nome che uscì dal “cappello” di Matteo Renzi, all’epoca presidente del consiglio e leader del Pd, in virtù del quale fu rotto il “patto del Nazareno” con Silvio Berlusconi.
LA RIELEZIONE
O il bis di 3 anni fa, quando le forze politiche non riuscirono ad accordarsi, tra i veti incrociati, e alla fine Mattarella – di cui erano uscite già le foto della ricerca di un appartamento a Roma, quartiere Salario – accettò il bis che gli era stato chiesto a gran voce dalla platea della Scala di Milano, l’8 dicembre precedente la sua rielezione. Proprio in quel “bis bis” c’è uno dei tratti distintivi soprattutto del secondo settennato (giunto quasi al giro di boa) del Capo dello Stato: l’essersi consacrato come icona pop. O social, verrebbe da dire. Non solo quando, prima del discorso di fine anno del 2020, ancora in piena emergenza Covid disse che «era un po’ che non andava dal barbiere». O quando, qualche mese prima, salì, solitario e con la mascherina sul volto, i gradini del Vittoriano per deporre la corona di fiori al Milite Ignoto, il 25 aprile. Un’immagine consacrata in mille occasioni. La presenza in prima fila all’Ariston, per il Sanremo 2023, quando Benigni lo omaggiò con la lettura della Costituzione («avete lo stesso padre, è sua sorella», la battuta del comico che strappò un sorriso al Presidente). Il cappello da baseball e gli occhiali da sole per ammirare le frecce tricolori. L’esultanza, in tribuna a Wembley, per il pareggio di Bonucci nella finale degli Europei del 2021 contro l’Inghilterra. Gesto, e situazione, che in molti ha rievocato il celebre «non ci prendono più» di Pertini a fianco di Re Juan Carlos al Santiago Bernabeu, nella notte dell’Italia mundial del 1982. E ancora, la “resistenza” sotto la pioggia a Parigi, apertura delle Olimpiadi, per vedere sfilare la squadra azzurra: «L’acqua? Porta fortuna e ne abbiamo bisogno», disse Mattarella. Se non fosse il Presidente della Repubblica, verrebbe da dire che un po’ – forse – ci ha anche preso gusto. Anche perché, in un Paese spesso diviso e litigioso, il Colle cerca di incarnare quei sentimenti di unità, concordia, interesse nazionale. Certo, ovviamente c’è anche la “politica”, intesa in senso lato. Il Colle ha sempre respinto le interpretazioni che volevano dipingere il Capo dello Stato come “attore” in prima fila e non arbitro a garanzia delle regole (e della Costituzione) ma è chiaro che, per i poteri che gli conferisce la Carta, Mattarella un ruolo lo ha svolto.
IL CONTE I
Decisivo, ad esempio, è stato nella formazione del Conte I, arrivato dopo uno stallo di 80 giorni, tra le elezioni del 4 marzo 2018 e il 23 maggio, quando fu conferito l’incarico all’avvocato di Volturara Appula, all’epoca praticamente un perfetto “Carneade”. E quando tutto sembrava compiuto, con l’accordo M5S-Lega e la lista dei ministri presentata al Quirinale, Mattarella dovette alzare la voce e stoppare la nomina di Paolo Savona all’Economia, rivendicando la scelta europeista dell’Italia «paese fondatore della Ue: l’adesione all’Euro è una scelta di importanza fondamentale».
Perché europeismo e atlantismo – vedi Kiev – sono la stella polare del Presidente. Fece anche riferimento, in quel caso, al ritorno alle elezioni anticipate, se non fosse stata la sostituzione del nome per via XX Settembre. Alla fine all’Economia andò Tria, e il governo giallo-verde nacque. È stato, forse, il momento di maggior tensione nel decennio mattarelliano. Più della crisi del Papeete, risolta con il Conte II e il governo rosso-giallo, e più dell’addio di Draghi dove pure si registrò un silenzio di qualche ora tra le dimissioni consegnate dall’ex presidente della Bce e la conferma delle stesse in Cdm: il Quirinale provò a convincerlo, non comunicando di aver accettato le dimissioni ma Draghi fu irremovibile. Inevitabile, in quel caso, lo scioglimento delle Camere, la campagna elettorale sotto l’ombrellone e il voto di settembre che ha consacrato la vittoria di Giorgia Meloni.
Un governo, quello di centrodestra, nel quale si è visto maggiormente il tratto del Mattarella-bis, cioè quello di un presidente più presente nel dibattito politico, che interviene quando c’è da rimettere la barra dritta al centro. I messaggi sui medici dopo l’abolizione delle multe ai no-vax, alcune leggi promulgate pur «senza condividerle», i dubbi (se non di più) su premierato e Autonomia. E poco importa se quelle azioni o quelle parole, vengono interpretate in un modo o nell’altro. Così, il Capo dello Stato si è trovato a difendere l’Italia dalle ingerenze francesi sul nuovo governo («l’Italia sa badare a sè stessa») ma anche da quelle di Elon Musk sui giudici (usando più o meno le stesse parole). Rimproverando gli eccessi di alcuni agenti contro gli studenti a Pisa («i manganelli contro gli studenti esprimono un fallimento») ma poi difendendo pubblicamente la Polizia dopo gli assalti a Torino da parte dei centri sociali. L’unità nazionale, prima di tutto.