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Meloni cambia metodo. Il segnale per il Colle e ora il dossier Albania

5 giorni fa 2
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«Inabissata? Ma quando mai... Piuttosto è in modalità sommergibile, ma con periscopio ben in vista». Giorgia Meloni studia le prossime mosse, alle prese con mille grane da risolvere. Stretta tra le frizioni che agitano la maggioranza e la guerra implosa negli apparati di sicurezza, la premier fissa le priorità e cambia schema di gioco. E così manda segnali di distensione - ai magistrati (vedrà l’Anm il 5 marzo) e alla Corte penale internazionale, per citare solo alcuni esempi - e dopo settimane di “guerriglia” chiama al telefono le opposizioni per trovare la quadra sulla Consulta. Mandando un segnale al Colle, da dove filtra «soddisfazione» per l’accordo raggiunto e il vulnus sanato dopo mesi e mesi di fumate nere, ben venti a verbale.

LA SODDISFAZIONE DEL COLLE

Al Quirinale, dove il quartetto di neo giudici dell’Alta Corte giurerà mercoledì mattina, c’è compiacimento soprattutto per le modalità con cui è stata raggiunta l’intesa, con maggioranza e opposizioni impegnate a trovare insieme una soluzione a un sudoku di nomi rimasto per troppo tempo irrisolto. Con Meloni che chiama la segretaria dem Elly Schlein, sonda le minoranze sul nome proposto - quello della giurista esperta di diritto amministrativo Maria Alessandra Sandulli - e invia messaggi whatsapp alla leader Pd a tarda sera, quando l’indicazione di Roberto Cassinelli seda i malumori interni a Forza Italia. E anche qui Meloni, che non avrebbe voluto un nome di partito ma piuttosto un tecnico, chiude un occhio davanti al fatto che Cassinelli nel curriculum abbia ben tre legislature, due da deputato e una da senatore in maglia “azzurra”. Tempi duri per perdere tempo con piccoli dissapori interni. Nel mirino della premier sono altri i bersagli da centrare. Anche per questo avrebbe mancato il vertice mondiale sull'Intelligenza artificiale, spedendo al Gran Palais di Parigi il ministro Adolfo Urso. Stesso copione per la tradizionale Conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera, nonostante avesse detto ai suoi - di ritorno dal vertice informale a Bruxelles sulla difesa - di non voler disertare il summit. Dopo un mese di partenze, la valigia sempre pronta, Meloni ha depennato gli impegni sull’agenda internazionale. Barricata a Palazzo Chigi a fare i conti con ben altri guai. Preoccupata, raccontano, dalle fughe di notizie sui giornali, spia di un malessere interno all’Intelligence che non sembra destinato a scemare. Tutt’altro. È convinzione diffusa che sulla stampa ci saranno presto nuove “sorprese”, capaci di togliere il sonno alla presidente del Consiglio e al fidatissimo sottosegretario Alfredo Mantovano, al suo fianco in questa partita.

I PROSSIMI PASSI

E così in Transatlantico, mentre l’Aula è impegnata nella votazione sui quattro giudici della Consulta, Matteo Renzi non perde l’occasione per schiacciare la palla. «Abbiamo invitato il Papa al G7 in Puglia a parlare di Intelligenza artificiale e poi Meloni non si presenta a Parigi. Ma stiamo scherzando? È una barzelletta? No, non lo è, ma è sintomatico delle difficoltà in cui si trova», affonda l’ex premier, dando del «bimbominkia» a Salvini, richiamo ironico alle chat interne a Fdi pubblicate dal Fatto Quotidiano.

Altra matassa da sbrogliare al più presto è quella dei centri per migranti in Albania. Un dossier che comporta interlocuzioni su più fronti: dall’Europa a Tirana, con un orecchio teso al Colle. Nel governo c’è volontà di accelerare, non restare mani in mano nell’attesa di due snodi cruciali: la pronuncia della Corte di giustizia Ue sui Paesi sicuri e la nuova direttiva europea sui rimpatri. I tecnici lavorano a un intervento normativo, «un decreto snello, non chiuso ma in via di limatura», per trasformare la destinazione d’uso degli hotspot di Shengjin e Gjader. Obiettivo è convertire le due strutture in centri di permanenza per i rimpatri, per gli irregolari già presenti in Italia e su cui pende un decreto di espulsione. Bypassando così la convalida dei trattenimenti negata dai giudici già in tre occasioni, timbro obbligato nel caso di richiedenti asilo. Per farlo, però, tocca rivedere il Protocollo con Tirana siglato nel novembre del 2023, fermo su carta con i due centri rimasti vuoti. Tra gli ostacoli da superare, le resistenze del presidente albanese Edi Rama, atteso al voto tra tre mesi.

IL PREMIER ALBANESE

Interlocuzioni con l’amica Meloni in corso? Hotspot di Shengjin e Gjader pronti a essere convertiti in cpr? «Bufala dei giornali italiani che pensavo si fosse già dissolta», risponde a muso duro Rama al Messaggero. Calma e gesso, invita il governo gettando acqua sul fuoco. «I cpr non sono centri di accoglienza, con i migranti liberi di entrare e uscire dalle strutture. Per Rama, con i centri per i rimpatri, non cambia assolutamente niente in termini di sicurezza rispetto agli accordi presi», spiega una fonte impegnata in prima linea nel dossier. Ma qualcuno dovrà spiegarlo al presidente albanese e convincerlo a scendere a patti. Missione non facile, tanto più in piena campagna elettorale.

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