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«L’ultima volta ho lavorato al primo soccorso sui gommoni, le notti senza luna, i corpi dei migranti che vanno su e giù, i vivi per caso: ne salvammo 47 per miracolo. Le chiamano crociere ma bisognerebbe provare. Poi torni a casa e non smetti più di domandarti perché loro e non te». Dopo una lunga missione con la ong “Resque people”, Cecilia Strada aspetta di ripartire e però non vorrebbe, farebbe volentieri tutt’altro: «Le ong non chiedono di meglio che non ci sia più bisogno di loro». Invece il Mediterraneo continua macinare morti e accordi scellerati, assegni in bianco per tenere i migranti lontani dall’Europa. Prima la Turchia, poi la Tunisia, ora l’Egitto.
La premier Giorgia Meloni rientra dal Cairo soddisfatta. A conti fatti, dopo l’accordo con la Tunisia gli sbarchi sono passati da 19.937 a meno di 6mila. E adesso può contare sul Paese che controlla il traffico verso la Libia.
«Certo. A che prezzo? Questi accordi funzionano sul momento ma d’altra parte ci sono dittatori che non rispettano i diritti umani e quindi non rispettano nessuno. C’è l’Egitto che ha beffato l’Italia per otto anni negandole la verità sull’assassinio di Giulio Regeni al punto che la Procura di Roma è andata avanti da sola, fino al processo. Ci fidiamo perché non guardiamo cosa succede laggiù e non vogliamo sapere. E questa sarebbe una garanzia?».
Intanto, negli ultimi naufragi, decine di migranti sono morti di fame, di sete, di ustioni. Quante imbarcazioni arriveranno con la bella stagione?
«Da anni la storia è la stessa. La frontiera più letale del mondo è il Mediterraneo, l’acqua dove d’estate portiamo a fare il bagno i nostri figli è il più grande cimitero esistente di persone in movimento. Gli sbarchi diminuiscono ma i morti aumentano, nel 2023 c’è stato un picco del 60% rispetto al 2022 e i primi mesi del 2024 contano già 200 vittime. I sopravvissuti delle ultime settimane parlano di soccorsi chiamati invano mentre la gente annegava, raccontano di naufragi spaventosi documentati anche dagli aerei di ricerca di Sea-Watch, in cui si vede la guardia costiera libica, finanziata dall’Italia e dall’Unione europea, sparare alle imbarcazioni e ostacolare i salvataggi».
Siamo in campagna elettorale e, a destra come a sinistra, vince chi mostra lo scalpo dei migranti. Come si esce da questo circolo vizioso?
«Governare è molto più difficile che annunciare blocchi navali e promettere la luna, come faceva Giorgia Meloni dall’opposizione. Ma l’operazione di spostare la frontiera sempre più non è prerogativa di questo governo, l’hanno fatto anche quelli precedenti, appaltando ad altri il lavoro sporco di tenere le persone lontane dagli occhi dell’opinione pubblica e delle tutele giuridiche. Lo stesso patto europeo per le migrazioni investe sui centri di detenzione al di là dei nostri confini anziché su canali sicuri e legali. E poi, prima ancora del problema dei flussi, c’è quello del primo aiuto. Che fai se uno sta annegando? La criminalizzazione delle ong, le uniche che fanno soccorso in mare e che vengono per questo punite con l’assegnazione di porti lontanissimi, è feroce: si tiene lontano chi salva la vita da dove serve. Sarebbe ora di rispolverare Mare Nostrum, la missione europea di salvataggio. Prima di chiedersi se accogliere o meno chi migra, uno Stato dovrebbe assicurarsi che non anneghi. Lo sa bene la Guardia Costiera italiana che svolge un lavoro incredibile, che è responsabile della maggior parte dei salvataggi, che non smetteremo mai di ringraziare abbastanza perché non interroga chi è in difficoltà sulle proprie credenziali ma lo tira a bordo, un uomo in mare va salvato».
E’ la retorica populista a sventolare la muleta dell’invasione alimentando i peggiori istinti sociali o è invece l’opposto, la richiesta dal basso di un capro espiatorio per sfogare rabbia, frustrazione, insicurezze?
«Fossi al governo mi porrei una domanda diversa. Mi chiederei cosa fare quando, nel 2045, avremo un rapporto tra occupati e non occupati di uno a uno e il Paese si fermerà. Certo, si può incoraggiare la natalità e aiutare le donne, ma non basta. Dobbiamo accogliere per evitare di morire. Dobbiamo pensare a decreti flussi e canali di accesso sicuri e legali, dobbiamo incentivare i più scolarizzati e istruiti tra i migranti perché sono loro a potersi integrare meglio in un Paese che ha paura. Su questo mi interrogherei. Posto che fermare le partenze è impossibile e che con il disastro climatico incombente sarà sempre peggio. Bisogna governare il fenomeno migratorio. Le elezioni si vincono sulla pelle degli ultimi ma solo tatticamente, scommettendo sul fatto tutto transitorio che la guerra tra i penultimi si sposti agli ultimi. E dopo? Il gioco dei diritti funziona al contrario e sul lungo periodo, la sicurezza nostra è quella dei migranti, se tuteli loro poi non toccherà a te».
In Egitto c’era Meloni ma c’era anche l’Europa. La fortezza è un modello inevitabile?
«La direzione securitaria imboccata non tutela i diritti e non funziona. Il decreto Cutro segue la stessa logica del patto europeo sulle migrazioni: umiliano i migranti e creano insicurezza. Dovunque la logica sia quella di ridurre le tutele l’effetto è spingere le persone fuori dai circuiti i legali dove diventano un problema di sicurezza: loro sono in pericolo e lo siamo noi. Anche chi non ha a cuore l’etica dovrebbe pensarci».
È cambiato il mondo, più bisognoso, o siamo cambiati noi in occidente, più egoisti e arroccati?
«Tutto sommato sono ottimista, penso che, al netto di tanto male, andiamo più in direzione dell’affermazione che della negazione dei diritti. A volte si va avanti e a volte si va tanto indietro ma complessivamente stiamo meglio, ci sono cicli che mettono in discussione conquiste in apparenza consolidata eppure si possono invertire. Voglio credere che si progredisca altrimenti non troverei la forza per lavorare al bene comune e prepararmi a tornare in mare».