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ROMA. Sostegno immutato all’Ucraina, ma nessun impegno diretto dei militari. Condanna per la morte di Navalny e critiche alle elezioni in Russia, «una farsa», ma solo quelle nei territori occupati dalle truppe di Mosca. Per Giorgia Meloni le comunicazioni in vista del Consiglio europeo al via domani a Bruxelles non sono un passaggio formale. Le frasi di Matteo Salvini sulle elezioni sono il convitato di pietra, anche se l’interessato non si presenta a Palazzo Madama. La linea della politica estera, c’è anche Gaza ovviamente, è l’urgenza principale, specie all’indomani delle polemiche nate dalle posizioni della Lega. Al Senato l’atmosfera tarda ad accendersi e, come spesso capita in questo tipo di sedute, è la replica il momento in cui la premier alza i toni. Lo fa contro il Pd, accusato di partigianeria in politica estera («ci ha offeso» dirà il capogruppo Francesco Boccia) e soprattutto rivolta al M5S, con un attacco violento contro Giuseppe Conte: «Ho sentito dirgli che Zelensky, se vuole la pace, deve mettersi gli abiti civili. Probabilmente il presidente Conte riteneva al tempo che a governare l’Italia ci sarebbe stata la sua pochette. La politica estera è una cosa più seria». Rispondendo a Filippo Sensi del Pd, Meloni rivendica la vicinanza con il premier ungherese Viktor Orban: «Bisogna parlare con tutti, anche con lui, per fare gli interessi dell’Italia».
La premier inaugura il suo discorso mettendo in chiaro la distanza con le ultime uscite dei partner europei: «L’Italia non è favorevole in alcun modo all’ipotesi, di un intervento diretto sul territorio ucraino di truppe di nazioni dell’Ue». Per la premier lo scenario immaginato dal presidente francese Emmanuel Macron è «foriera di un’escalation pericolosa da evitare invece ad ogni costo». Qualche ora più tardi dai banchi del partito della premier al presidente francese verranno riservate allusioni molto più sgradevoli: «La pace non si fa nemmeno – attacca il senatore di Fratelli d’Italia Roberto Menia – ipotizzando interventi militari per i pruriti muscolari di uno che si presenta piuttosto femmineo e mi capite di chi parlo».
L’aula rumoreggia, dai banchi del Pd si alzano proteste e Menia, parlamentare di lungo corso della destra, replica: «Lo sapevo che qualche anima candida si sarebbe sconvolta». Per il dem Antonio Misiani «il lupo perde il pelo, indossa il doppiopetto ma non il vizio fascista di denigrare, offendere e insultare chi in Europa considera avversari». Meloni nella replica evita di commentare.
L’altro tema del giorno, anche per colpa di Salvini, sono le elezioni russe. Qui Meloni si esibisce in un equilibrismo, defindole «una farsa», ma il giudizio è limitato ai territori ucraini occupati dai russi la cui sovranità non è riconosciuta dalla comunità internazionale. La posizione è in linea con quella espressa dai ministri degli Esteri dell’Unione europea, ma è anche utile per evitare di contraddire le frasi di Salvini del giorno prima, che, parlando dei russi, aveva detto «quando un popolo si esprime ha sempre ragione». Per la prima volta poi la presidente del Consiglio utilizza parole molto nette per condannare la morte del principale oppositore politico di Vladimir Putin: «Condanniamo le vicende che hanno portato al decesso in carcere di Aleksei Navalny, il cui sacrificio in nome della libertà non sarà dimenticato». È questo un altro tema che ha provocato una polemica con Salvini.
La premier, ribadendo il sostegno a Kiev nella ricerca di una «pace giusta», osserva che Mosca ha «sistematicamente violato gli accordi sottoscritti e il diritto internazionale” da anni e difende la scelta di sottoscrivere un patto “pluriennale di sicurezza» con l’Ucraina.
A Bruxelles sarà complicato trovare un posizione comune sulla crisi in Medio oriente, «noi – spiega la presidente del Consiglio – ribadiremo la nostra contrarietà a un’azione militare di terra da parte di Israele a Rafah, che potrebbe avere conseguenze ancora più catastrofiche sui civili ammassati in quell’area».
La presidenza italiana del G7 è occasione per un altro duello. Matteo Renzi accusa: «Meloni ha la consapevolezza della sua squadra a livello internazionale, non è un caso che ha cambiato lo sherpa del G7 a tre mesi dall’inizio, significa avere qualche problema». L’ex premier si riferisce all’avvicendamento tra diplomatici e torna a mettere nel mirino Elisabetta Belloni, che ha preso il posto di Luca Ferrari: «Ho fatto la guerra perché non divenisse presidente della Repubblica, perché penso che chi è a capo dei servizi deve fare il capo dei servizi, c’è qualcosa che non funziona nel sistema istituzionale di questo Paese».
È già ora di cena quando si passa alla votazione, il via libera alla risoluzione di maggioranza passa senza problemi mentre si votano per parti separate le altre cinque, dell’opposizione. Oggi c’è il secondo round, appuntamento alle 9.30 alla Camera. Meloni si troverà davanti Elly Schlein e Giuseppe Conte. Meloni si è portata avanti ieri con attacchi diretti. Non sarà un dibattito tra amici.