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Meloni respinge l’assalto di Salvini e blinda Piantedosi al Viminale

2 giorni fa 1
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Firenze-Roma. Il piano per il Viminale di Matteo Salvini ha il fascino della semplicità più brutale. Di quelli in cui ogni tessera finisce magicamente al suo posto, senza fatica, perché assoggettata alla volontà di una persona sola: lui desidera tornare a fare il ministro dell’Interno, e allora Matteo Piantedosi può fagli spazio candidandosi alle Regionali in Campania e per il ministero dei Trasporti si vedrà. Ma se il progetto abbozzato sul tovagliolo viene mostrato a Giorgia Meloni? La premier – per usare un eufemismo – all’idea non fa i salti di gioia. E l’altro alleato, Antonio Tajani? Contrario e contrariato. Piantedosi, poi, vorrà davvero fare il governatore? Per nessun motivo. Negli ultimi tempi, quando i cronisti lo interrogano su qualche questione campana, se può non risponde, sperando così di non alimentare la suggestione di una sua corsa per la Regione. Chi lo ha sentito in queste ore lo descrive «imperturbabile».

Salvini: "Io al Viminale? Ne parlerò con Meloni, sono a disposizione"

Salvini è perfettamente cosciente della situazione. D’altronde ci aveva già provato qualche mese fa, dopo l’assoluzione ottenuta nel processo Open Arms, e aveva ricevuto da Palazzo Chigi un secco rifiuto. E anche il pensiero di Piantedosi, oggi, resta lo stesso che aveva espresso a La Stampa quattro mesi fa: «Non ho chiesto io di guidare da ministro l’istituzione a cui ho dedicato tutta la mia vita». E sull’ipotesi di finire in un rimpasto: «La discussione su un rimpasto non mi coinvolge». Insomma, il Viminale è il suo nido e non sarà certo lui a chiedere di andarsene. Adesso però Salvini ha la forza della riconferma alla guida della Lega, spinto da tutto il partito, e sente di poter rigiocare la carta del Viminale con qualche chance in più. Soprattutto, lo conforta l’idea – raccontano in ambienti di governo – di poter far sentire il suo peso nella coalizione, anche in vista della nuova stagione di nomine nelle partecipate di Stato che si sta aprendo: quattrocento poltrone da rinnovare.

Oggi i due si incontreranno a Palazzo Chigi, anche con Tajani e il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, per parlare dei dazi Usa, ma chissà che il leghista non ci riprovi. Intanto Meloni ha sentito il leader del Carroccio, che l’ha ringraziata per aver inviato un videomessaggio al congresso leghista (a differenza di Tajani, con cui i rapporti sono sempre più logori), ma di Viminale non si è parlato. Aspetta che sia Salvini a fare la prima mossa. D’altronde aveva già frenato le mire del vicepremier lo scorso dicembre con una dichiarazione gelida dalla Lapponia: «Abbiamo già un ottimo ministro dell’Interno». Una linea ribadita poi dal suo sottosegretario e fedelissimo, Giovanbattista Fazzolari: «Un rimpasto si fa quando l’attività del governo ne può trarre giovamento.

Ad oggi non mi sembra che ci sia questa esigenza». Da via della Scrofa, per ora, si preferisce non commentare ufficialmente, ma tra i colonnelli meloniani c’è una convinzione solida: la premier non intende aprire a cambiamenti, soprattutto se non motivati da esigenze politiche o operative. E Piantedosi, considerato una figura stimata e affidabile, ha tutte le carte in regola per restare dov’è. Per di più – fanno notare le stesse fonti – il ministro indicato dalla Lega (ed ex capo di gabinetto proprio di Salvini) è ormai «totalmente affine» alle posizioni di Palazzo Chigi, «quasi fosse indicato in quota FdI».

Non è un caso che l’idea di candidare l’attuale ministro dell’Interno alla presidenza della Regione Campania venga quindi bollata come «fantapolitica» tra i più vicini alla premier. Non solo perché Piantedosi non sembra affatto intenzionato a trasferirsi a Napoli, nonostante le origini irpine, ma anche perché, nel delicato gioco di equilibri interni alla maggioranza, Fratelli d’Italia sembra già pronta a rivendicare quella Regione – in attesa che l’uscente Vincenzo De Luca chiarisca le sue intenzioni. Un primo passo in questa direzione Meloni lo ha già compiuto, sorprendendo molti, anche all’interno del partito: la scorsa settimana Antonio Iannone è stato nominato sottosegretario al Ministero dei Trasporti – guidato proprio da Salvini – prendendo il posto di Galeazzo Bignami, nel frattempo diventato capogruppo di FdI alla Camera. Iannone, senatore campano considerato molto vicino a Edmondo Cirielli, è il segnale che l’attuale viceministro degli Esteri potrebbe presto candidarsi in Campania, con l’appoggio diretto della premier.

Ma un altro elemento rende improbabile un ritorno di Salvini al Viminale: il dossier Starlink. Il Ministero dell’Interno, con competenze su infrastrutture critiche, comunicazioni e gestione delle emergenze, sarebbe la postazione ideale per agevolare l’ingresso massiccio dei satelliti di Elon Musk in Italia. Una partita che finora FdI pare non essere riuscita a chiudere, tanto da irritare i vertici di Starlink, incluso lo stesso Musk.

Con il Quirinale e l’opposizione già in allerta, Meloni sa di non poter offrire a Salvini una simile leva strategica. Né può concedergli la visibilità che il leader leghista ha già dimostrato di saper sfruttare da ministro dell’Interno. Tanto più in una fase in cui la Lega è alla ricerca di uno slancio per affrontare gli ultimi due anni di legislatura

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