ARTICLE AD BOX
ROMA Nega tensioni con il Quirinale. Rilancia la palla nel campo delle opposizioni, «il problema è un sistema in cui c’è il Pd da solo al comando». Mette in guardia l’Ue, che «virerà a destra» e «non può più mettere la polvere sotto il tappeto». Giorgia Meloni è un fiume in piena dagli studi Mediaset di Paolo Del Debbio.
Il richiamo di Mattarella: «La maggioranza non è autorità senza limiti»
Ne ha per tutti nell’intervista a Dritto e rovescio. A partire da chi ha letto nelle parole di Sergio Mattarella contro “l’assolutismo della maggioranza” una presa di distanze dal premierato, la riforma-bandiera della timoniera di Palazzo Chigi. Che la vede in modo opposto: «Francamente non ho letto un attacco al governo». Anzi, rilancia Meloni, sono le opposizioni a «strumentalizzare ogni cosa che dice il Presidente» e lei condivide nel merito il monito del Colle: «Nelle democrazie non esiste un assolutismo delle maggioranze». Dal Quirinale apprezzano: «È corretta la valutazione della presidente del Consiglio delle parole del presidente della Repubblica», fanno sapere fonti in serata. E suonano tanto entrambe le posizioni una risposta a chi, dall’opposizione come al governo, ha deciso di tirare Mattarella per la giacchetta, trascinarlo nello scontro politico. In mattinata Matteo Salvini affonda un colpo duro sul discorso del Capo dello Stato.
L'intervento della Meloni
«Assolutismo? Siamo in democrazia. Il popolo vota, il popolo vince» scandisce il “Capitano”. E se dal Carroccio provano a smorzare, «non si riferiva al presidente», il discorso del segretario è fin troppo eloquente. «Non faccio filosofia, ma politica, semmai qua c’è il problema della dittatura delle minoranze, non il contrario», taglia corto. Toni lontanissimi, se confrontati da quelli scelti da Antonio Tajani. «Il Capo dello Stato va sempre rispettato», ammonisce il vicepremier e leader di Forza Italia, come spesso succede agli antipodi rispetto al “Capitano”.
In serata, Meloni dice la sua su una questione che agita il governo nelle ore in cui il cantiere del premierato riprende vita e il centrodestra inizia ad abbozzare la prossima riforma elettorale. Sotto sotto, la premier la pensa come Salvini. Ma non ne condivide i toni e il metodo, da cui prende le distanze in modo plateale. Parla anche lei della «dittatura delle minoranze», attacca il Pd di Elly Schlein: «Se decidono i cittadini, loro non possono più governare quando perdono le elezioni». E tuttavia, per scacciare l’ombra di nuove tensioni con il Colle, Meloni mette in chiaro che «è sbagliato strumentalizzare» le parole di Mattarella. Avviso ad uso esterno - contro chi lo tira per la giacchetta «come fosse il capo dell’opposizione» - e ad uso interno. Un messaggio in bottiglia al vice leghista in giorni di maretta per la maggioranza, dalla Rai alle riforme.
Per il resto, Meloni attacca a muso duro le opposizioni. E calca la mano su un tasto che aveva pigiato poco e niente durante la campagna elettorale per le Europee: Ilaria Salis. Indossa l’elmetto la premier e si scaglia contro la candidata bandiera della sinistra-sinistra. «Considero vergognoso che chi viene pagato dagli italiani per scrivere le leggi stia lì a fare apologia della violazione delle leggi. Considero vergognoso che dei privilegiati occupino abusivamente delle case destinate alla povera gente. Considero vergognoso che in uno Stato di diritto si faccia apologia dell'esproprio proletario, in una nazione nella quale la proprietà privata è sacra e inviolabile». Schermaglie a cui fanno da contraltare le iniziative una volta tanto trasversali delle opposizioni contro il governo e le riforme. Dalla raccolta firme delle regioni a guida centrosinistra per il referendum contro l’autonomia alla sfilza di audizioni chieste alla Camera per rallentare il percorso del premierato. Facile che stamattina, in direzione Pd, Schlein colga la palla al balzo per rispondere alla rivale a capo della destra.
IL RISIKO UE
Intanto Meloni volge lo sguardo altrove. Al grande risiko europeo che ancora deve comporsi, alla trattativa sulle nomine in Ue che toglie il sonno alla presidente del Consiglio italiana. Ancora scottata dall’accordo siglato tra popolari, socialisti e liberali che di fatto ha tagliato fuori l’Italia, astenuta sulla scelta di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione. Il fischio finale arriverà il 18 luglio, nel segreto dell’urna al Parlamento europeo, e qui Meloni potrà giocare le sue carte. Intanto avvisa i leader europei. «Non credo che durerà questo tentativo di mettere la polvere sotto il tappeto, perché la maggioranza è molto fragile». Il pallottoliere non sorride alla tedesca, che ieri ha incontrato i popolari italiani di Forza Italia chiedendo di serrare i ranghi e confidando di essere fiduciosa sulla possibilità di chiudere un accordo con il governo dei “patrioti” a Roma.
«Ci ha garantito che le deleghe sul green deal saranno divise e assegnate a più commissari», annuncia entusiasta il capodelegazione azzurro in Ue Fulvio Martusciello a margine del vis-a-vis con la presidente in cerca di un bis.
Meloni intanto si lancia in pronostici. «L’Ue virerà a destra, e a quel punto riusciremo sicuramente anche a dare qualche soddisfazione ai cittadini per le indicazioni che ci hanno dato con le elezioni», dice la premier. Chiude con un monito diretto a Bruxelles: « Se esiste ancora un'Ue all'Italia va riconosciuto quello che le va riconosciuto, banalmente perché è la terza economia europea, è un Paese fondatore, tra le grandi nazioni europee è quella con il governo più stabile».