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Mucca pazza, epidemia a Viterbo: abbattuti 300 capi. Sintomi e come avviene il contagio

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In tutta Italia si registrano trai 30 e i 50 focolai all’anno. Due di questi, nel 2024 sono scoppiati nel Viterbese tra agosto e settembre, uno a Castel Sant’Elia, l'altro a Civita Castellana: “Ma dalla scorsa estate non mi risultano altri casi”, stempera sul nascere eventuali allarmismi Remo Parenti, presidente di Confagricoltura. Fatta sta che sono 627 i capi individuati come da abbattere dalla Asl perché colpiti da scrapie, l’equivalente della mucca pazza per gli ovini. Per una parte è stata ottenuta una deroga per l’abbattimento immediato dei capi che si trovano nella fase di gestazione e delle partorienti, gli altri sono stati abbattuti e quasi 300 già indennizzati.

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Cos'è la mucca pazza

Di cosa si tratta? Di una malattia neurodegenerativa che colpisce ovini e caprini, appartenente alla categoria delle encefalopatie spongiformi trasmissibili (Tse), che comprendono anche la malattia di Creutzfeldt-Jakob negli esseri umani e la Bse (mucca pazza) nei bovini. È caratterizzata da sintomi neurologici, tra cui prurito intenso, perdita di coordinazione, cambiamenti nel comportamento e, in fase avanzata, incapacità di stare in piedi. La malattia è progressiva e spesso porta alla morte degli animali colpiti. La trasmissione avviene principalmente attraverso il contatto con materiali infetti, come le feci o la placenta di animali malati. Non esistendo attualmente cure, la gestione della scrapie si concentra sulla prevenzione della diffusione della malattia, attraverso pratiche di allevamento e monitoraggio degli animali. “La trasmissibilità all’uomo – specifica Parenti – non è ancora stata provata”.

L'epidemia

L’epidemia circoscritta ai due allevamenti del Viterbese è stata scoperta grazie alla sorvegliata effettuata presso i mattatoi. “Da decenni ormai – rivela il presidente di Confagricoltura – la situazione viene costantemente monitorata dalle autorità sanitarie. I veterinari della Asl controllano tutti gli ovini portati al mattatoio nonché quelli morti in campo. Un sistema costante di verifiche che ci tranquillizza e consente di circoscrivere le infezioni”. 

I focolai

Fatto sta che in una provincia la cui economia si regge sull’agricoltura, con importanti allevamenti presenti sul territorio, la presenza di simili focolai crea apprensione tra gli allevatori. Per le aziende colpite, i danni economici sono infatti ingenti tanto che dal 1988 è previsto un sistema di indennizzo a copertura dei capi abbattuti, considerando sia il valore della carne sia quello del latte. La Asl in tempi brevi ha liquidato il ristoro: all’azienda di Castel Sant’Elia vanno 11.097,50 euro per l’abbattimento di 81 capi ovini, mentre a quella di Civita Castellana 26.257,5 per averne dovuti eliminare 207. “I tempi di indennizzo – conclude Parenti – sono stati brevi, soprattutto se confrontati con altre situazioni. Resta che, sebbene simili focolai possano generare preoccupazione tra gli allevatori, il costante controllo da parte dei veterinari basta a scongiurare ogni allarmismo”.

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