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Niente assegno di disoccupazione a chi si assenta dal posto di lavoro senza giustificazione per oltre 15 giorni e si fa così licenziare dalla propria azienda. D’ora in poi valgono come dimissioni volontarie. La norma, ribattezzata “anti-furbetti della Naspi”, era stata inserita nel decreto “Collegato lavoro” dell’ultima legge di Bilancio e adesso diventa realtà con un messaggio dell’Inps, che fornisce tutte le istruzioni del caso ad aziende e dipendenti.
Il fenomeno, difficilmente quantificabile, è stato segnalato dai tecnici dell’Istituto di previdenza e denunciato anche da alcuni datori di lavoro negli ultimi anni, soprattutto per gli under 40 o i giovanissimi alle prime esperienze, assunti spesso con mansioni meno qualificate. Si sarebbero fatti licenziare, magari per poi farsi riassumere al nero in altri lavori stagionali, in Italia così come all’estero. Sommando il nuovo stipendio alla Naspi (che da quest’anno arriva a un massimo di 1550,42 euro, a decrescere, per ventiquattro mesi), anche viste le basse retribuzioni per i neo-assunti in Italia.
IL MECCANISMO
In pratica alcuni lavoratori, anche appena assunti, si sarebbero assentati per giorni. Superati i 15 giorni o un certo limite definito dal contratto collettivo di riferimento, scattava l’avvio di un provvedimento disciplinare, che poteva portare al licenziamento per giusta causa. Uno di quelli che dà diritto a chiedere la Naspi, a differenza delle dimissioni volontarie. Spesso però, secondo l’Inps, erano le stesse aziende a cedere alla richiesta dei lavoratori o a proporglielo per far prendere loro l’assegno di disoccupazione.
Un accordo di risoluzione consensuale del contratto mascherato da licenziamento, insomma, così da convincere il lavoratore ad abbandonare l’azienda. Peccato che ogni società, se licenzia, di norma deve anche versare all’Istituto di previdenza il ticket di licenziamento, che può arrivare fino a 2 mila euro.
Proprio con l’obiettivo dichiarato di evitare l’elusione del ticket all’Inps e le risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro mascherate da licenziamenti, poi, da quest’anno, il governo ha introdotto un’altra norma. Se ci si dimette volontariamente da un lavoro a tempo indeterminato, si viene assunti da un’altra azienda e poi licenziati da quest’ultima, si ottiene la Naspi solo a fronte di 13 settimane di contribuzione nell’ultimo anno (prima bastavano 13 settimane negli ultimi quattro anni).
In pratica si vuole evitare che qualcuno si dimetta avendo magari l’accordo con un’altra azienda per farsi assumere e subito licenziare, così da prendere la Naspi. Con le nuove disposizioni il datore di lavoro ha ora poi l’onere di segnalare via Pec l’assenza prolungata di un lavoratore all’Ispettorato territoriale del lavoro, che ha il compito di fare le dovute verifiche. Come chiarito dall’Inps, quindi, solo a seguito della comunicazione il rapporto di lavoro si intende risolto con effetto immediato e senza la necessità di dover completare la procedura telematica di dimissioni.
LE RAGIONI
Viene quindi precisato che, se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza, oppure nel caso in cui l’Ispettorato accerti la falsità della comunicazione del datore di lavoro, le dimissioni diventano inefficaci.
Le circostanze che possono giustificare un’assenza includono, ad esempio: impedimenti oggettivi e inaspettati, come eventi di salute gravi o calamità naturali; inadempienze del datore di lavoro, tra cui il mancato pagamento dello stipendio o condizioni di lavoro non sicure; situazioni di mobbing o discriminazione. Con questo chiarimento il lavoratore ha l’opportunità di spiegare le ragioni della propria assenza ed evitare che questa venga interpretata come un recesso volontario, con tutte le conseguenze che ne derivano. Una delle accuse rivolte alla norma dai sindacati, in primis la Cgil e le opposizioni (dal Pd al M5s e Avs), era infatti che si introducesse una nuova forma di “dimissioni in bianco” a favore delle imprese, inducendo una persona a dimettersi, magari per ignoranza delle norme, non facendolo presentare al lavoro, così da evitare un potenziale contenzioso e risparmiare sul ticket di licenziamento all’Inps.
Resta comunque il nodo della capacità da parte del lavoratore di dimostrare un eventuale “raggiro” nei suoi confronti, che preoccupa non poco gli esperti di diritto del lavoro. Il timore, insomma, è che si colpisca implicitamente il diritto del lavoratore di dimettersi solo tramite una volontà espressa e comunicata all’Inps. Non solo: la norma sulle 13 settimane di contribuzione nell’ultimo anno, secondo i sindacati, penalizzerebbe troppo chi si dimette per pessime condizioni di lavoro e inizia a lavorare in un’altra azienda.