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Sono almeno 28 le vittime degli attacchi israeliani di queste ore, secondo i dati diffusi dai funzionari di Gaza, tra gli edifici colpiti anche una scuola che ospitava famiglie sfollate. Il portavoce dell’agenzia di difesa civile di Gaza, Mahmoud Bassal, ha detto all’agenzia Afp che la scuola era stata riconvertita in un rifugio per i palestinesi sfollati, uno di loro, Mahmoud, parlando con la Bbc Arabic, ha descritto l’impatto: «Stavamo dormendo in una tenda nel cortile della scuola, quando siamo stati svegliati dal rumore di un’esplosione molto potente». L’esercito israeliano, come fa dopo ogni attacco che colpisce strutture sanitarie o aree precedentemente designate come sicure, ha affermato che anche la scuola Musa bin Nusair fosse un centro di comando di Hamas.
Come spesso accade dall’8 ottobre, le dichiarazioni delle forze armate israeliane non sono, però, sostenute da evidenze. Sulla condotta dei soldati nella Striscia di Gaza, e sugli ordini che ricevono dai vertici dell’esercito, cominciano a trapelare testimonianze, come quelle raccolte da Hareetz, nella recente inchiesta sulla “linea dei cadaveri”.
La linea dei cadaveri
«Nessun civile, sotto tutti terroristi». Così inizia il lungo rapporto pubblicato la settimana scorsa da Hareetz. Secondo le testimonianze dei soldati delle forze armate israeliane che hanno prestato servizio a Gaza e hanno accettato di parlare in forma anonima col quotidiano progressista israeliano, chiunque attraversi la linea immaginaria nel corridoio Netzarim, viene ucciso a colpi di arma da fuoco e ogni palestinese viene considerato un terrorista. Anche se si tratta di bambini. Il corridoio Netzarim – una striscia di terra larga sette chilometri che si estende dal Kibbutz Be’eri alla costa del Mediterraneo e divide la Striscia di Gaza a metà – è sotto il controllo dell’esercito israeliano che ha svuotato questa zona dei residenti palestinesi, demolito le loro case per costruire strade militari e postazioni militari, mettendo in atto ormai almeno dall’inizio di ottobre un assedio di fatto, che risponde al noto “piano dei generali”.
Nella parte nord della Striscia di Gaza si sta attuando un accerchiamento e l’uso della fame come arma di guerra sulla base del piano delineato dal generale in pensione Giora Eiland. Strategia secondo la quale Israele dovrebbe imporre condizioni invivibili agli abitanti della Striscia settentrionale, facendoli morire di fame e costringendoli ad andarsene. Chiunque resti a nord del corridoio Netzarim o lo attraversi da sud, viene considerato un terrorista.
I funzionari delle Nazioni Unite avvertono da mesi, con urgenza, che «l’intera popolazione del nord della Striscia rischia di morire». A conferma che il piano dei generali sia in atto e che spieghi anche le condotte che i soldati hanno confessato a Haaretz, all’inizio di ottobre, Israele a ordinato ai circa 400 mila residenti nel nord di trasferirsi nelle cosiddette “aree umanitarie” molti si sono rifiutati di lasciare le loro case, troppo disperati dai continui sfollamenti o memori che anche le zone precedentemente designate come “zone sicure” erano state bombardate.
Un comandante della Divisione 252 ha detto ad Haaretz che le forze sul campo chiamano il corridoio Netzarim «la linea dei cadaveri», e che i corpi non vengono nemmeno più raccolti, attirando branchi di cani che arrivano a mangiarli. «Il comandante della divisione ha designato questa zona come “zona di uccisione” – scrive il quotidiano israeliano – . Chiunque entri viene colpito». E chiunque viene colpito è considerato un combattente dunque un terrorista, come confermato da un altro degli ufficiali interpellati della medesima divisione che rivela i dettagli del mandato che ricevono dai superiori: «Per la nostra divisione la zona per uccidere si estende fin dove arriva la vista di un cecchino. Stiamo uccidendo civili che poi vengono considerati terroristi».
Un soldato di un’altra divisione, la 99, ha dichiarato che chiunque entri nella zona di «uccisione» era da considerarsi, ex post, un terrorista che stava conducendo una ricognizione, non importa se donna o bambino, erano in ogni caso considerate delle spie.
E che il mandato dell’unità prevedeva che una volta uccisi i corpi andassero fotografati e indagate le identità delle vittime. L’ufficiale intervistato da Hareetz rivela che in un caso recente di 200 vittime provocate dalle forze armate israeliane «solo dieci sono state confermate come appartenenti ad Hamas».
La guerra della sete e la catastrofe umanitaria
«L’acqua è essenziale per la vita umana, eppure per oltre un anno il governo israeliano ha deliberatamente negato ai palestinesi di Gaza il minimo indispensabile di cui hanno bisogno per sopravvivere», queste le parole della direttrice esecutiva di Human Rights Watch, Tirana Hassan, in occasione della pubblicazione, la scorsa settimana, di un report di 179 pagine basato su interviste con decine di palestinesi di Gaza, tra cui funzionari dell’autorità idrica, esperti di servizi igienico-sanitari e operatori sanitari, nonché su immagini satellitari e dati che vanno da ottobre 2023 a settembre 2024.
Nel rapporto si legge che «dall’ottobre 2023, le autorità israeliane hanno deliberatamente ostacolato l’accesso dei palestinesi alla quantità adeguata di acqua necessaria per la sopravvivenza nella Striscia di Gaza». Non solo più il cibo e l’accesso agli aiuti umanitari, dunque, anche l’acqua e la sete sono diventati strumento del massacro in corso a Gaza.
Human Rights Watch accusa Israele di aver privato deliberatamente i civili di un adeguato accesso all’acqua, danneggiando intenzionalmente le infrastrutture idriche (tra cui i pannelli solari che alimentano gli impianti di trattamento, un bacino idrico e un magazzino di pezzi di ricambio, bloccando anche il carburante per i generatori) e igienico-sanitarie e tagliando le forniture di elettricità e bloccando l’ingresso di risorse idriche essenziali.
«Questa non è solo negligenza; è una privazione calcolata, che ha portato alla morte di migliaia di persone per disidratazione e malattie che non è altro che il crimine contro l’umanità, lo sterminio, e un atto di genocidio» ha detto ancora Tirana Hassan. Le autorità israeliane hanno continuato a limitare l’accesso di acqua, carburante e cibo anche dopo che la Corte Internazionale di Giustizia (Icj) ha ordinato di proteggere i palestinesi, fornendo aiuti e dopo che l’Icj ha specificato a marzo che dovessero entrare sufficienti quantità di acqua, cibo, elettricità e carburante.
Ma gli aiuti via terra continuano a essere praticamente fermi. Così come tutti gli aiuti legati all’utilizzo dell’acqua, compresi i sistemi di filtraggio, le cisterne, e i materiali necessari a riparare le infrastrutture idriche danneggiate. Tra ottobre 2023 e agosto 2024 – si legge ancora nel rapporto di Hrw – la Gaza Coastal Municipalities Water Utility, l’Onu e altre fonti hanno riferito che i civili a Gaza non avessero accesso alla quantità minima di acqua necessaria per sopravvivere in situazioni di emergenza a lungo termine. Nella parte nord, soprattutto, secondo le Nazioni Unite, le persone non hanno avuto accesso all’acqua potabile per oltre cinque mesi, tra novembre 2023 e aprile 2024.
L’accesso al cibo
Non va meglio per l’accesso al cibo. Secondo i dati diffusi ieri da Oxfam in due mesi e mezzo a Gaza Nord sono riusciti ad entrare solo dodici camion di aiuti. Il contenuto di tre di questi è stato consegnato a sfollati che avevano trovato rifugio in una scuola, poi sgomberata e bombardata nel giro di poche ore. Come altre agenzie umanitarie internazionali, nemmeno Oxfam ha potuto portare aiuti salvavita ai civili di Gaza Nord dallo scorso 6 ottobre, da quando cioè Israele ha intensificato l’assedio militare di Jabalia, Beit Lahia e Beit Hanoun.
Il mese scorso, dice Oxfam, un convoglio di 11 camion è stato inizialmente bloccato nel punto di raccolta dell’esercito israeliano a Jabalia, dove civili letteralmente affamati sono riusciti a prendere quel che potevano. «Dopo aver ricevuto il via libera a procedere verso la destinazione stabilita, i camion sono stati di nuovo trattenuti in un posto di blocco dove l’esercito ha costretto gli autisti a scaricare gli aiuti in una zona militarizzata, inaccessibile alla popolazione civile».
Inaccessibili a decine di migliaia le persone tagliate fuori da ogni forma di assistenza umanitaria, persone affamate, bambini affamati. Alcuni hanno raccontato a Oxfam di essere stati costretti e mangiare foglie per sopravvivere.
«Siamo al punto che dobbiamo dire ai nostri figli di non giocare troppo per non stancarsi – ha raccontato agli operatori di Oxfam un uomo sfollato con la sua famiglia dal campo profughi di Al-Maghazi –. Abbiamo solo un pacchetto di biscotti per sfamare 15 bambini. Siamo senza corrente elettrica, senza riparo. Non possiamo permetterci di comprare nemmeno un telone di plastica costa perché costa 180 dollari e ce ne vorrebbero almeno cinque per costruire una tenda».
Intanto a Gaza Nord continuano i bombardamenti, la Palestinian Civil Defence stima che più di 2.700 persone siano state uccise e più di 10 mila ferite dall’inizio dell’assedio, a ottobre. Metà dei corpi non sono stati recuperati e i bambini, rovistano tra i rifiuti in cerca di cibo, mentre sul loro destino incombono l’inverno, il freddo e la carestia.