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Nessuno dica "giustizia è fatta"

5 ore fa 1
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Mario Sechi 22 dicembre 2024

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Ogni sentenza di assoluzione implica un errore giudiziario, lo diceva il leggendario avvocato Francesco Carnelutti e lo ha confermato la decisione dei magistrati nel processo a Matteo Salvini. Della lezione del Carnelutti, all’Associazione nazionale magistrati sanno poco, direi niente, visti i commenti dopo la sentenza. Al primo minuto, dopo l’assoluzione, è partito il coro, l’avete visto che non c’è bisogno di separare le carriere perché c’è «una sentenza che prova plasticamente l’autonomia dei giudicanti» (Giuseppe Tango, magistrato, presidente della Giunta esecutiva di Palermo dell’Anm).

Dunque il caso di Matteo Salvini, ministro e uomo innocente trascinato in processo che non doveva iniziare, è un successo, perbacco, e i fessi siamo noi che non ce ne siamo accorti. Riformare la giustizia? Mai. No, questo non è un episodio qualsiasi della vita pubblica italiana. Il ministro non è finito alla sbarra per caso, la parabola della sua caduta era stata disegnata a tavolino, grazie al dirottamento di un fatto politico dal Parlamento alla Procura della Repubblica.

Salvini è stato il bersaglio di un’operazione di «character assassination», le impronte digitali dei protagonisti sono dappertutto, nel dibattito parlamentare, nelle aule di giustizia, sui giornali e in tv, in sacrestia e nella curia romana. Bisognava inchiodare il “presunto colpevole”, esporre alla gogna il ritratto del sequestratore di migranti, schiacciarlo e aprire la crisi del centrodestra. Il piano è fallito, il delitto non era perfetto, come ricorda un personaggio di Hitchcock: «Nei romanzi le cose vanno come l’autore vuole che vadano; ma nella vita no, mai». Hanno sbagliato il finale, fin dalla prima riga, la vita si è ripresa la scena e ora annaspano nell’incubo del loro errore.

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