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Ostaggi Gaza, la gioia e il trauma di chi torna a casa: stress e salute precaria tra le conseguenze

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«Sono usciti da Gaza, ma Gaza non è uscita da loro». Il ritorno di chi è finito nei tunnel o negli angoli bui della Striscia verso una impossibile normalità si porta addosso cicatrici profonde. Difficili da curare, quasi certamente indelebili. C’è una sigla che ne riassume i sintomi in quattro lettere: “PTSD”, disturbi da stress post-traumatico. Niente è più come prima. Per nessuno degli ex ostaggi, così come per i sopravvissuti. In qualche caso il ritorno alla libertà ha segnato momenti non meno tragici di quelli che hanno vissuto in cattività. C’è stato chi ha scoperto che il resto della sua famiglia è stata sterminata. Chi invece ha appreso in quel momento che altri suoi famigliari sono stati portati in qualche nascondiglio della Striscia e ci sarebbero restati chissà per quanto altro tempo. E poi c’è sempre quel terrore difficile da scrollarsi di dosso: le grida dei miliziani, le pesanti pressioni psicologiche, gli spostamenti nella notte, le brutalità dei carcerieri, le bombe dell’Idf che martellano la Striscia, i tunnel umidi, il senso di freddo e di fame. Ci sono gli anziani che avrebbero bisogno di cure, c’è il pianto dei bambini. Ci sono le donne che temono gli agguati dei loro predatori, che puntualmente avvengono.

Tel Aviv, le famiglie degli ostaggi attendono in piazza il ritorno a casa di Romi, Emily e Doron

FINE PENA MAI

C’è anche un giovane di 23 anni, israelo-americano Hersh Goldberg Polin a cui una granata lanciata nell’assalto al rave party nel Negev, ha dilaniato una mano che gli viene poi amputata. Qualcuno non riesce ad uscirne mai. È successo lo scorso ottobre a Shirel Golan che si è tolta la vita proprio nel giorno del suo ventiduesimo compleanno. Troppo pesante il senso di “colpa” per essere sopravvissuta ai suoi amici che partecipavano con lei al Nova Festival e ha visto trucidare sotto i suoi occhi. Sarà possibile rimuovere questi incubi? E come? Appena liberati gli ostaggi vengono ricoverati in sei diversi ospedali specializzati a Tel Aviv e nei dintorni, non lontani da Gaza, già allertati in vista dell’accordo. La permanenza minima è di quattro giorni. Vengono immediatamente sottoposti a esami accurati, raggi, tac, risonanze, esami del sangue per scongiurare malattie infettive e problemi circolatori. E per le donne test di gravidanza. Poi le terapie mirate e i protocolli rigidi: psicologi, terapisti, pediatri, geriatri, specialisti in diverse discipline mediche. Uno dei rischi maggiori è quello della “sindrome da ri-alimentazione” che comporta pericoli di alterazione dei livelli di elettroliti del sangue con seguenti possibili danni al cuore, al cervello, ai muscoli. Nel caso dei precedenti rilasci alcuni hanno dovuto riabituarsi alla luce, qualcuno ha continuato per giorni a parlare sottovoce, ma per tutti resta difficile scacciare i mostri che popolano le proprie menti. Ma, come dice a Il Messaggero, Zohar Avigdor, parente di sette ostaggi (tra i 4 e i 60 anni di età) rilasciati a novembre e di uno, Tal, di 39, tuttora rinchiuso in qualche angolo di Gaza, sono tornati, chi al lavoro, chi a scuola, ma si portano appresso il fardello di tutto ciò che hanno vissuto. E per Tal e tutti gli altri sarà diverso e certamente ancora più complicato dopo la lunga detenzione. Intorno a loro e alle loro famiglie si alza un muro di riservatezza per aiutarli a ritrovare momenti di irraggiungibile serenità. Un percorso lento e faticoso che Hanna Katzir, 76 anni, non è riuscita a completare. È morta un paio di giorni prima dello scorso Natale, a poco più di un anno dalla sua liberazione. La figlia ora dice: «È tornata dalla prigionia con gravi problemi cardiologici e con il cuore spezzato». Per alcuni, a distanza di mesi, sono stati organizzati viaggi all’estero nella speranza di allontanare anche fisicamente le loro menti dall’inferno. E loro sono diventati i più convincenti testimonial della causa di tutti gli altri. Con questo spirito un cittadino israeliano residente a Cipro ha ospitato nel proprio centro termale sulle montagne sopra Paphos centinaia di giovani scampati al massacro del Nova Festival, organizzati in gruppi di cinquanta persone. Altre organizzazioni filantropiche hanno fatto altrettanto. Percorsi diversi, ma non meno impegnativi sono dedicati ai militari impigliati negli orrori dei lunghi mesi di guerra. Almeno 38 di loro si sarebbero tolti la vita.

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