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La libertà è un rivolo di speranza contagioso, crudele, si diffonde nelle strade e spezza il fiato delle famiglie degli ostaggi che aspettano a giorni il rilascio dei loro cari. La libertà dovrebbe avere il volto di Kfir Bibas che sabato compirà 2 anni o quello di Shlomo Mansur, 85 anni, sopravvissuto al massacro di Farhud a Baghdad e rapito il 7 ottobre dal Kibbutz Kissoufim. La libertà avrà i volti sfigurati di chi non vede la luce da oltre un anno, sepolto vivo nei tunnel, cullati da nostalgie e ricordi, scossi da terrore e fame. Nella lista dei primi 33 ci sono donne, bambini, soldati, anziani. Kfir è stato rapito che aveva 9 mesi, vuol dire che potrebbe aver imparato a camminare e soprattutto a sopravvivere quando si affacciava al mondo. Con lui la mamma Shiri Silberman Bibas, il fratello Ariel che ha compiuto 5 anni ad agosto, il padre Yarden. Sulla sorte dalla famiglia molte incognite, dati per morti ma mai ufficialmente, rientrano nella prima lista dei rilasci. Nell’elenco dei 33 (in tutto gli ostaggi in mano ad Hamas sarebbero 98) che torneranno a casa c’è la giovane Romi Gonen: era al Nova Festival quel maledetto 7 ottobre, si è nascosta tra i cespugli, è salita su un’auto con uno sconosciuto per fuggire, è stata ferita al braccio e catturata. Era al telefono con la mamma che ha potuto solo ascoltare impotente. Un altro volto a cui è stato spento il sorriso e sospesa la vita è quello di Emily Damari, 28enne britannica-israeliana, ferita e rapita dalla sua casa a Kfar Aza, ucciso davanti ai suoi occhi l’amato cane Chuca. «Non so per quanto tempo potrà restare in vita» aveva detto un anno fa la mamma Mandy.
Ha compiuto 29 anni a giugno Arbel Yehud, residente di terza generazione del kibbutz Nir Oz. Amava occuparsi dei nipotini, è appassionata di astronomia. È stata presa in ostaggio con il ragazzo Ariel Cunio, mentre suo fratello veniva ucciso mentre difendeva il kibbutz. Vite spezzate, rubate, mutilate nell’anima, portate all’inferno all’alba di un giorno di festa. Come quella di Doron Steinbrecher, 31 anni, infermiera veterinaria, rapita dal kibbutz Kfar Aza. È rimasta in contatto telefonico con la sorella e i genitori finché non è stata portata via. Gridava terrorizzata «sono arrivati, mi hanno preso, mi hanno preso» ha raccontato la sorella.
TROFEO
Nell’elenco degli ostaggi che saranno liberati le cinque giovani donne soldato “trofeo”: Liri Albag, Karina Ariev, Agam Berger, Danielle Gilboa e Naama Levy. Il video del loro rapimento, il 7 ottobre dalla base di Nahal Oz, sanguinanti, accerchiate da urla, offese e minacce è conosciuto, come pure quello più recente di Danielle Gilboa che probabilmente costretta accusa il governo israeliano di averla abbandonata e quello di una Liri Albag sotto choc, con un collare da cane. Tra i pochi uomini in via di rilascio Ohad Ben Amin del Kibbut Be’eri, padre di tre figlie. La moglie Raz è già stata rilasciata. E ancora: Gad Moshe Moses, ottantenne, Keith Siegel, medico, cittadino statunitense portato via dalla sua casa a Kfar Aza, dove viveva da più di 40 anni con la moglie. Ha due figli, in un video diffuso da Hamas aveva mandato messaggi d’amore alla sua famiglia. Ofer Calderon, 53 anni, padre di quattro figli era riuscito a fuggire dalla finestra mentre la moglie era chiusi in casa nel kibbutz Nir Oz, ma venne catturato dai terroristi, assieme a due figli già rilasciati. Ha visto uccidere suo fratello prima di essere portato via, Eli Sharabi, massacrate moglie e figlie. Forse tornerà presto dai suoi cari Ohad Yahalomi, all’inizio anche lui rapito con la famiglia. Tsahi Idan, 49 anni, aveva radunato moglie e figli nella stanza blindata, ma i miliziani hanno ucciso una figlia e lui si è arreso sotto choc. Mentre lo portavano via, i bimbi urlavano. I terroristi si voltarono, ha raccontato la moglie e dissero: «Tornerà, tornerà».
GLI ANZIANI
Nessuna pietà anche per gli anziani come Shlomo Mansur rapito a 86 anni, già sopravvissuto all’espropriazione ebraica in Iraq negli anni ‘40. Di lui non si sono mai avute più notizie. Come pure di Oded Lifshit, malato, marito di Yochevech, l’anziana che una volta rilasciata strinse la mano ai suoi carnefici. Entrambi attivisti per la pace, i coniugi facevano volontariato e trasportavano pazienti palestinesi da Gaza negli ospedali israeliani.