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Seguire sui social un profilo pubblico non rappresenta un’intrusione nella vita altrui, neppure se un condannato per omicidio preterintenzionale segue i profili dei parenti di chi ha ucciso. A stabilirlo è una sentenza della quinta sezione penale della Corte di Cassazione del 17 gennaio che accoglie il ricorso di Paolo Carbone, 58enne di Milazzo, al quale il 5 aprile scorso sono stati inflitti in primo grado 13 anni e 4 mesi di reclusione per aver colpito il 6 giugno 2023 con una mazza da baseball l’amico Sergio Romeo davanti a un bar di Venetico, nel Messinese, per un debito di soli 20 euro. Il 48enne è morto due giorni dopo all’ospedale di Milazzo, dove era arrivato a circa 12 ore dalla violenta aggressione, denunciando di essere caduto con la bici. Le indagini dei carabinieri hanno poi fatto emergere la verità sull’origine di quelle ferite. In particolar modo, erano state le intercettazioni sui cellulari dei parenti della vittima a portare all’arresto dell’imputato.
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L’aggravamento
Carbone, il 19 luglio scorso, dai domiciliari è finito in carcere perché il gip di Messina ha ritenuto avesse violato il divieto di comunicazione con l’esterno, usando appunto i social. Nello specifico, la moglie della vittima aveva presentato un esposto in cui denunciava il fatto che l’imputato visualizzasse dei video che lei pubblicava su TikTok. I due erano “amici” sulla piattaforma già prima della morte di Romeo. Il Tribunale della libertà, il 17 ottobre, ha confermato l’aggravamento della misura cautelare sostenendo che il comportamento “intrusivo” del 58enne, «pur se posto in essere senza infrangere il divieto di comunicazione denotasse comunque una volontà di controllare la vita di relazione dei parenti della vittima». Tale condotta è stata ritenuta, pertanto, «idonea a turbare la serenità» di questi ultimi e a ingenerare «un concreto timore per la propria incolumità, in considerazione dell’aggressione mortale consumata ai danni del loro congiunto». In sostanza, la moglie di Romeo si sentiva “controllata” da Carbone e lo aveva denunciato. Tuttavia, durante la fase delle indagini, aveva sempre sostenuto che la vittima fosse caduta dalla bicicletta. Erano state le intercettazioni a svelare che la donna fosse a conoscenza fin dall’inizio della causa delle lesioni riportate dal marito, ossia il pestaggio.
Le motivazioni
La Cassazione, riguardo l’aggravamento della misura cautelare, ha dato ragione all’imputato, disponendo un nuovo giudizio davanti al Tribunale del Riesame: «Non è dato comprendere perché la condotta - puramente passiva - di Carbone, consistente nel seguire su una rete social i profili pubblici dei parenti della vittima, rivelerebbe un’intrusiva volontà di controllo, suscettibile d’ingenerare un concreto timore per l'incolumità dei congiunti del Romeo». «Peraltro, la motivazione - si legge nella sentenza degli Ermellini - neppure dà conto della ragionevole deduzione difensiva (rappresentata dall’avvocato penalista Alessandro Trovato, ndr) secondo cui l'utente dei social media può agevolmente "bloccare" la persona non gradita che segua le sue pubblicazioni, in modo da neutralizzarne la presenza». Ma c’è di più: Carbone era ristretto agli arresti domiciliari nel Comune di Teramo, «dunque in un luogo ben distante dal Comune di Messina, in cui è stato commesso il reato».
L’appello
Oltre alla pronuncia della Cassazione su questo aspetto, c’è un colpo di scena nella vicenda giudiziaria. I giudici della Corte d’assise d’appello di Messina vogliono analizzare meglio l’effettivo collegamento tra il pestaggio e la morte di Romeo, arrivato al pronto soccorso 12 ore dopo i fatti. A sollecitare una nuova perizia medico legale, nell’atto di appello, l’avvocato Trovato. La vittima aveva riportato, a causa dell’aggressione, la rottura della milza. Il mancato soccorso immediato potrebbe aver contribuito a peggiorare fatalmente il suo quadro clinico, fino alla morte. L’incarico per effettuare la nuova perizia medico legale è stato conferito alla professoressa Patrizia Gualniera dell’Università di Messina e comincerà il 24 febbraio. Se dall’esame emergesse una connessione tra la decisione della vittima di recarsi “in ritardo” in ospedale e il decesso, l’impianto accusatorio potrebbe cambiare, perché verrebbe meno il nesso causale.