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«Camminiamo insieme nella speranza». Dal letto d’ospedale dove si sta curando per la polmonite bilaterale che lo ha colpito quasi due settimane fa, Papa Francesco ieri ha fatto arrivare alla Chiesa intera, in sette lingue, arabo compreso, un messaggio fortissimo per incoraggiare i credenti a coltivare la fede, potente antidoto in grado di scacciare la paura della morte, il grande tabù delle società occidentali che viene perennemente mistificato.
Facendo uso di poche perifrasi, va dritto al nocciolo. Si affida ad alcune citazioni famose tra cui una di Santa Teresina, la santa francese alla quale è sempre stato devoto, e l’altra di Papa Ratzinger. «La morte è stata trasformata in vittoria e qui sta la fede e la grande speranza dei cristiani, nella resurrezione di Cristo». Bergoglio addita in questo modo l’unico cammino efficace a non gettare nello sconforto gli esseri umani arrivati al termine terreno. L’affidamento a Dio. Quest’anno la Quaresima cade il 5 marzo e nei programmi che aveva in agenda Francesco c’era – come ogni anno – la processione penitenziale all’Aventino. Dalla chiesa di Sant’Anselmo a quella di Santa Sabina. Lì viene ripetuto il rito delle ceneri sul capo e, come è tradizione, il Papa accompagna questa messa solenne con una riflessione in diverse lingue. Il Messaggio ovviamente è stato redatto ben prima che fosse costretto al ricovero al Gemelli. A gennaio non immaginava nemmeno lontanamente che sarebbe andato incontro ad un periodo tanto complesso e denso di incognite per la sua salute, con andamenti che tengono col fiato sospeso i fedeli, speranzosi degli ultimi miglioramenti. Fortunatamente le cure antibiotiche sembrano fare effetto.
L’AGENDA
Nel Messaggio quaresimale Francesco riprende anche uno dei passaggi più celebri di San Paolo: «La morte è stata inghiottita dalla vittoria. Dove è, o morte, la tua vittoria?». Il filo del discorso si sposta poi sul terreno della speranza, virtù teologale che Francesco ha scelto per il Giubileo in corso. «Così si esprimeva Santa Teresa di Gesù: “Spera anima mia, spera. Tu non conosci il giorno né l’ora. Veglia premurosamente, tutto passa in un soffio, sebbene la tua impazienza possa rendere incerto ciò che è certo, e lungo un tempo molto breve”». Il tema della morte non è facile da affrontare. Fa parte della dimensione umana ma in fondo meno se ne parla meglio è. Papa Francesco, invece, durante questi undici anni di pontificato, lo ha fatto con grande semplicità e in diverse circostanze. Davanti ai fedeli, durante le udienze o nei colloqui privati. Ha insistito tanto durante il Covid, quando celebrava in streaming la messa nella cappella di Santa Marta e fuori le cronache erano traboccanti di lutti, mentre la disperazione collettiva aumentava. In questa cornice ebbe modo di ripescare anche aneddoti personali capaci di trasmettere agli interlocutori una visione salda e sicura. Una volta confidò, per esempio, di avere una agenda personale in cui trascriveva puntualmente la scomparsa di un amico caro, un parente, un sacerdote conosciuto. «In quella agenda ogni giorno vedo come è passato il tempo. E il tempo obbliga a pensare a cosa facciamo, a quale è la traccia della nostra vita». Un’altra volta, invece, collegò il destino finale di qualsiasi persona alla verità. In quel varco esiste un senso, mentre tutto il resto è destinato ad eclissarsi. «Se ognuno di noi è fedele al Signore, quando verrà la morte, diremo come San Francesco: “Sorella morte, vieni”. E non ci spaventa. (...). Con questa fedeltà non avremo paura alla fine, alla nostra fine non avremo paura il giorno del giudizio».
Intanto al Gemelli continuano le cure e Papa Francesco riempie le lunghe giornate ospedaliere circondato da preghiere da ogni parte del mondo. Fuori dal Gemelli uno striscione: «Oggi abbiamo bisogno più che mai di te».