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Paragon, il ?giallo? del contratto per il software israeliano: a palazzo Chigi la rescissione ancora non risulta

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ROMA «Male non fare, paura non avere». È la frase che Giorgia Meloni va ripetendo come un mantra in queste ore, ore in cui una nuova doccia fredda ha finito per gelare il governo. Se l’affaire Almasri per lei è una vicenda chiusa - «interessa solo la sinistra e non mi occupo di cose che interessano la sinistra» - è il “caso Paragon” a toglierle il sonno, con il presunto spionaggio di attivisti e giornalisti attraverso lo spyware di un’azienda israeliana. Una vicenda «surreale» per la premier, che allontana da sé e dal suo governo ogni sospetto, senza escludere querele contro chi è pronto a sostenere che cronisti e volontari in forza alle Ong siano stati spiati dal buco della serratura su input della presidente del Consiglio o della sua squadra. Ma sono tanti, troppi, i pezzi che non tornano in questa vicenda. A partire dalla presunta recessione del contratto con l'Italia decisa dalla Paragon Solutions per via della violazione dei termini di servizio e del quadro etico. Vale a dire delle regole del gioco. A svelare la decisione della società israeliana di chiudere i ponti con Roma è il britannico The Guardian, ma - attenzione -: l’intelligence, su forte impulso di Palazzo Chigi, ha avviato tutte le verifiche del caso e al momento non risulterebbe che Paragon abbia archiviato il contratto con l’Italia. «Fosse così, sarebbe gravissimo. Si tratterebbe di una vicenda costruita su un’indiscrezione e senza alcuna attinenza con la realtà», osserva la premier con i suoi. Il filo diretto tra Meloni e il numero uno dell’Aise Giovanni Caravelli - atteso martedì al Copasir - si è fatto rovente. La presidente del Consiglio si fida ciecamente di lui e vuole vederci chiaro. Se c’è stato un “bug” nei nostri Servizi va individuato, la falla va chiusa evitando che trascini giù tutto. Ammesso che l’opera di spionaggio sia da addebitare ai Servizi, perché c’è chi fa notare sommessamente che il sistema israeliano che buca gli smartphone è in uso anche in alcune Procure italiane.

I TIMORI SUI SERVIZI

Ma che la temperatura interna ai nostri servizi abbia ormai superato i livelli di guardia è sotto gli occhi di tutti. Troppi gli scivoloni registrati da un anno a questa parte, tanto da spingere il vicepremier Matteo Salvini a parlare di «regolamenti di conti» interni. Come se la guerra mai doma tra le diverse anime dei Servizi si fosse fatta più dura, un’ostilità dietro l’altra. Le opposizioni, compatte, chiedono che sul caso Paragon il governo riferisca quanto prima in Parlamento. Alzano la voce, indispettendo la premier più di quanto non sia già, convinta com’è che la vicenda venga usata per colpire il governo. Quando la questione, per lei, ha una dimensione diversa e più ampia. Una maionese impazzita, in un momento di grande visibilità e attivismo internazionale per l’Italia.

GLI SCIVOLONI

Basta mettere in fila i fatti per arrivare a una storia capace di far impallidire il copione di uno spy movie: gli uomini sorpresi ad armeggiare attorno all’auto dell’ex compagno della premier Andrea Giambruno, l’inchiesta sugli accessi abusivi e i dossieraggi interni alla Direzione Nazionale Antimafia, il passo indietro di Elisabetta Belloni dai vertici del Dis. Alcuni tasselli di questo intricato puzzle varcano i confini nazionali. E si susseguono in rapide sequenze. L’arresto dell’ingegnere dei droni Abedini, su mandato degli Stati Uniti, legato a doppio filo alla reclusione della giornalista Cecilia Sala nel carcere iraniano di Evin; il caso del generale libico Almasri, che attraversa Londra, Monaco e Bruxelles prima di finire in manette a Torino. «Male non fare, paura non avere», continua a ripetersi Giorgia Meloni. Ma qualche timore in lei potrebbe iniziare a farsi largo.

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