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Prima di mettere in moto la macchina, il guidatore deve accertarsi che ogni singolo passeggero abbia la cintura di sicurezza allacciata e, in caso di rifiuto, deve immediatamente farlo scendere dal veicolo. Lo scorso 18 dicembre la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione di Letizia D., una 29enne di Alatri accusata di omicidio colposo perché - mentre era al volante di una Fiat Punto la notte del 31 dicembre 2015 - era finita fuori strada dopo che un cane randagio le si era parato di fronte e nell’incidente era morto sul colpo un suo amico. Secondo i supremi giudici la ragazza «non aveva preteso dai passeggeri, prima di mettersi in marcia, che indossassero la cintura» e per questo hanno disposto un nuovo giudizio davanti alla Corte d’appello di Roma.
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La vicenda
Quella sera di nove anni fa Gianmarco Ruspantini, un ragazzo che aveva compiuto 18 anni quattro giorni prima, si trovava a bordo della Fiat Punto insieme a tre amiche. Al volante c’era appunto Letizia, all’epoca 19enne. La comitiva stava rientrando a casa percorrendo la Statale 115 per Fiuggi a circa 65 chilometri orari (entro i limiti di velocità consentiti), quando, all’improvviso, un cane randagio aveva attraversato la strada. La ragazza alla guida aveva cercato di schivarlo, sterzando, ma questa manovra le aveva fatto perdere il controllo dell’auto che era finita contro il pilone di un grosso cancello di un centro commerciale e poi si era ribaltata. Gianmarco, che era seduto sul sedile posteriore lato sinistro, morì sul colpo. Venne trovato con metà busto fuori dall’abitacolo, schiacciato dalla macchina. Le altre due ragazze, compresa la conducente, furono trasportate in ospedale in codice rosso, ma si salvarono. Secondo il perito nominato dal Tribunale, «era verosimile ritenere che l’utilizzo della cintura di sicurezza avrebbe ragionevolmente impedito» il decesso del ragazzo, in quanto sarebbe rimasto ancorato al sedile e non sarebbe stato sbalzato fuori dal finestrino.
Il processo
Letizia è quindi finita a processo con l’accusa di omicidio colposo. Il Tribunale di Frosinone, il 6 marzo 2024, l’ha assolta con formula piena: «perché il fatto non costituisce reato». Secondo il giudice di primo grado, infatti, non le poteva essere mosso alcun addebito in quanto l’auto «non era dotata di sistemi acustici atti a segnalare il mancato utilizzo delle cinture e, in ogni caso, non era esigibile che la conducente potesse compiere, durante la marcia, una continua verifica in tal senso».
Tuttavia, avverso la sentenza, ha proposto ricorso il procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma, Giulio Romano. Sulla base del combinato disposto dell’articolo 589 del codice penale e dell’articolo 172 del codice della strada, secondo il pg «risponde di omicidio colposo chi, prima di intraprendere la marcia del veicolo con passeggeri a bordo, non esige che costoro indossino la cintura di sicurezza, verificando che lo facciano e in caso di renitenza, rifiuti il trasporto, continuando a verificarlo durante la marcia, anche con l’aiuto degli altri passeggeri trasportati, interpellando direttamente il passeggero». La Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso della Procura generale, annullando la sentenza di assoluzione. Nel caso specifico, è stato accertato che solo l’imputata e la passeggera seduta al suo fianco indossavano la cintura. E non è sufficiente come giustificazione per «escludere il nesso causale» tra la condotta negligente della ragazza e la morte del suo amico, il fatto che non vi fossero dei segnali acustici ad allertarla del mancato uso della cintura da parte di chi era seduto dietro.