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Per provare la sua estraneità alla censura di Antonio Scurati, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha pubblicato sul suo profilo Facebook l’intero testo del monologo che lo scrittore avrebbe dovuto leggere durante la trasmissione, condotta da Serena Bortone. Non ha resistito a premettere che lei non censura e non censurerà mai nessuno, essendo stata vittima di ostracismo. E, soprattutto, in un paio di incisi, ha sottolineato che 1.800 euro, e cioè il compenso previsto per Scurati, erano un compenso eccessivo, che lei spera tanto di non pagare. Ha scritto, tra parentesi (e tutti gli italiani, essendo passivo aggressivi, sanno bene che quello che viene scritto tra parentesi è ciò che più conta, sempre), che 1.800 euro equivalgono allo «stipendio mensile di molti dipendenti».
Occorre allora ricordare a Giorgia Meloni che le retribuzioni non si comparano: hanno smesso di farlo persino i Cinquestelle, e persino gli indignati al bancone del bar, quelli che non solo non si sono mai spiegati perché mai Cristiano Ronaldo guadagnasse così tanto più di loro, ma ne hanno fatto il motore immobile del malcontento sociale del Paese. Occorre soprattutto ricordare a Giorgia Meloni che 1.800 euro non sono una cifra esorbitante, anzi: per uno scrittore, persino per uno scrittore italiano, abituato a vivere in un Paese che dovrebbe vivere di Cultura ma si guarda bene dal pagare chi la fa, sono poco più che un obolo. Quando si paga un intellettuale, non si paga un monte di ore, una prestazione professionale: si pagano le sue ricerche, i suoi studi, la sua consapevolezza, le sue parole, le sue scelte, la sua esposizione, il rischio che s’assume, il tempo che non deve perdere.
Pagare molto e bene un intellettuale è un investimento collettivo, perché un intellettuale ben pagato può dedicarsi solo e soltanto al suo lavoro, e non deve barcamenarsi in mille altri piccoli mestieri, che sono stratagemmi per sopravvivere, e che lo allontanano dall’indagine, dal tentativo, dall’astrazione. Pagare molto bene un intellettuale, soprattutto, serve a evitare che a scrivere, pensare, studiare, siano sempre e soltanto i figli dei ricchi, così che la cultura non sia dominio esclusivo dei - per usare una parola cara a Meloni- radical chic.