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Marco Praticelli 10 maggio 2024
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Praticamente nessuno nell’Europa del 1945 si impietosì per la sorte di milioni di profughi. Perché erano tedeschi, e questo bastava. I nazisti avevano sparso il terrore e quello era il prezzo da pagare per la colpa collettiva della spaventosa guerra mondiale scatenata dal Terzo Reich. Fu l’altro volto, che si preferisce ignorare, di un conflitto spietato in un’epoca di giganteschi crimini. I civili furono coinvolti su tutti i fronti e sottoposti alle peggiori violenze. Erano stati considerati “fronte interno” e sottoposti ai bombardamenti di qua e di là, a ennesima riprova dell’ipocrisia della guerra “morale” o “pulita”.
La città di Coventry, in Inghilterra, venne spianata dai bombardieri della Luftwaffe nella notte tra il 14 e il 15 novembre 1940 e l’effetto devastante fece coniare il neologismo “coventrizzare”. I quadrimotori della Raf del maresciallo Arthur Harris si vendicheranno bruciando Amburgo con una tempesta di fuoco dal 26 luglio al 3 agosto 1943, provocando almeno 100mila vittime, e la città ospedale di Dresda dal 13 al 15 febbraio 1945, con circa 30mila morti.
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Oltre 600mila i morti a Berlino per gli incessanti raid angloamericani. I tedeschi se l’erano cercata, era il pensiero dominante. Quando le sorti della guerra virarono irreversibilmente a favore degli Alleati, il fronte terrestre orientale fu scenario di ogni sorta di nefandezza, come riflusso di quanto avvenuto nella travolgente avanzata della Wehrmacht nella campagna del 1939 contro la Polonia e del 1941 contro l’Unione Sovietica. Ogni limite era stato oltrepassato e ogni vendetta divenne incontenibile, come mai in passato.
Lo scrittore Il’ja Ehrenburg nel 1941 aveva scritto un virulento articolo per cementare la resistenza sovietica dal titolo «Uccidi!». Sarà preso in parola nell’onda di invasione della ricca Germania, e sarà fatto di peggio. La propaganda nazista sosterrà che Ehrenburg alimentava una macchina dell’odio che incentivava stupri di donne e l’uccisione dei bambini tedeschi, e se anche le sue parole miravano agli invasori nazisti e non indistintamente al popolo tedesco, si verificò proprio questo. Il vetrino d’incubazione, nell’ottobre 1944, fu Nemmersdorf, un villaggio della Prussia Orientale, occupato per poche ore da un reparto sovietico. Quando i soldati andarono via le autorità tedesche rinvennero 74 cadaveri di donne, bambini e anziani. Le donne, tra gli 8 e gli 84 anni, erano state stuprate e brutalizzate. La propaganda di Goebbels mostrò fotografie di corpi di bambine e di persone inchiodate alla porta di un fienile, per esaltare la resistenza contro l’Armata Rossa.
Quello che sarebbe accaduto dopo avrebbe fatto impallidire anche il ricordo di Nemmersdorf. Il più grande e sistematico stupro di massa della storia, come lo ha definito lo storico Anthony Beevor, avrebbe avuto come vittime circa due milioni di donne tedesche, di cui 1,4 milioni risultanti dagli archivi sovietici. La rottura del fronte orientale provocò un gigantesco esodo verso la Germania, con marce della morte in condizioni indicibili e indescrivibili, con un repertorio di orrori di ogni genere. La pietà fu una rarissima eccezione.
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SE L’ERANO CERCATA! - I tedeschi se l’erano cercata, si diceva: avevano eletto Hitler, gli avevano consentito tutto, erano stati complici delle aggressioni, della guerra, della Shoah, del razzismo, avevano sostenuto il regime. Aleksandr Solženicyn, all’epoca giovane ufficiale, annoterà che tutti i soldati sovietici sapevano di poter stuprare e poi uccidere senza conseguenze.
A Berlino la guerra terminerà dopo il suicidio di Hitler e di Goebbels il 2 maggio, ma ufficialmente l’8 maggio con l’atto formale di resa su tutti i fronti.
Non fu la fine di tutto. Centomila donne pagarono le atrocità del passato e la sconfitta col loro martirio fisico e psichico. I dati sono ricavati dai registri sugli aborti (eccezionalmente consentiti, perché illegali) e dalle sofferte testimonianze del dopoguerra con la pubblicazione di diari in forma anonima. Gli stupri, secondo Max Hastings, riflettevano il desiderio non solo sessuale ma anche «l’atavico desiderio di violare un’intera società». Molti berlinesi non avevano creduto ai racconti della massa di profughi di Prussia, Slesia e Pomerania, circa due milioni riversati in città negli ultimi mesi di guerra, che raccontavano di scene apocalittiche di brutalità e spietatezza. L’atteggiamento di chi ogni giorno subiva i bombardamenti è purtroppo consegnato a una agghiacciante battuta: «Meglio un russo sopra alla pancia che un americano sopra alla testa».
Dopo la fine delle ostilità saranno circa dieci milioni i profughi tedeschi, cacciati con violenza dalle regioni orientali, dalla Polonia, dai Sudeti in Cecoslovacchia, e in misura minore da Romania, Jugoslavia, Ungheria. Guido Knopp, col libro Tedeschi in fuga, ne ha lasciato un quadro impressionante. La pietà allora appartenne a pochi singoli, non fu sentimento condiviso, perché predominò quello di corresponsabilità collettiva, ampiamente diffuso e condiviso, e la giustificazione della vendetta.
Vae victis. La rimozione dell’esperienza storica fa gioco a molti, come il relativismo e i distinguo di lana caprina del presente. Putin ha fatto approvare non troppo tempo fa dalla Duma una legge che punisce con una pesante multa e la reclusione fino a cinque anni chi denigri il comportamento dell’Armata Rossa durante la seconda guerra mondiale, che Stalin chiamò Grande guerra patriottica per la sconfitta del nazismo. Corsi e ricorsi.