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Ieri mi si è fulminata una lampadina in salotto. Per prima cosa ho chiesto a mio figlio di sette anni se potesse cortesemente cambiarla, mi ha guardato come si guarda la goccia che fa traboccare il vaso e mi ha lasciato da sola al buio. A quel punto ho mandato un messaggio in maiuscolo a mio marito chiedendo cosa dovessi fare, mi ha risposto se riuscivo a resistere per un quarto d’ora che stava arrivando, e io ho detto che no, che avrei guardato immediatamente su Amazon Prime se c’era una consegna rapida per una lampada nuova.
L’ottimo libro di Hester e Srnicek Dopo il lavoro. Una storia della casa e della lotta per il tempo libero parla di chi sa cambiare una lampadina e di chi compra una lampada nuova pur di non cambiare la lampadina. Dopo il lavoro è un’analisi sugli elettrodomestici, sulle case, sugli stereotipi di genere nel proprio tinello, sulla genitorialità intensiva, sul capitalismo, sulla teoria germinale, su quello che abbiamo sacrificato e su quello che ancora siamo disposti a sacrificare prima di metterci tutti in fila al centro per l’impiego.
È un libro che parla di standard: più aumentano le aspettative, maggiore sarà lo scarto tra quello che dovrebbe essere e quello che è. In quel buco tra le ascisse delle aspettative e le ordinate della realtà, vivono le madri. Si parla molto di genitorialità intensiva, dicono che ai padri spetta la parte divertente del gioco con i bambini, mentre alle madri tocca la parte più noiosa. Se mi dovessero chiedere se preferisco giocare con mio figlio oppure svuotare la lavastoviglie, me ne comprerei tre di lavastoviglie da svuotare. «Le norme relative a questioni quali la pulizia, le buone maniere e la presentazione di sé, ad esempio, impongono aspettative di genere sulla disposizione e la conduzione del lavoro domestico non retribuito. Le aspettative sulla genitorialità intensiva, allo stesso modo, tendono a ricadere in modo particolare sulle donne, insieme al senso di colpa che deriva dal non riuscire a soddisfare questi criteri spesso impraticabili».
Io sono grande fan del senso di colpa, è la risposta fisiologica alla vergogna. Senza senso di colpa non esisterebbero il cinema, la letteratura, gli psicanalisti, gli influencer della salute mentale. La nostra vita sarebbe una continua ricerca dell’estinzione del senso del pericolo, e se estingui il senso del pericolo, muori. Sono contraria anche al concetto stesso di “lavoro non retribuito”. Il lavoro non retribuito non esiste, perché non è lavoro, è un’altra cosa. Essere genitori non è un lavoro, pulire casa propria, lavarsi i vestiti, dare le medicine ai genitori anziani, cambiare le lenzuola, cucinare, non è un lavoro. Nessuno lavora gratis, e nessuno dovrebbe ricevere uno stipendio perché prepara la cena a suo figlio invece che lasciarlo morire di fame.
Questo mi ha fatto pensare alla più grande delle rivoluzioni dopo quella francese, che è quella delle casalinghe sui social. Le stay-at-home-mum, o le tradwifed, hanno trovato il modo di fare soldi rassettando e cucinando. C’è una ventiduenne incinta e madre di non so quanti figli su TikTok, Nara Smith, che prepara i cereali partendo da zero. C’è il profilo di “Ballerina farm”, al secolo Hannah Neeleman, che a due settimane dal parto ha partecipato a Miss Mondo, e munge le mucche, fa il pane, fa il burro, lascia i figli sul bordo del tavolo perché lei deve stendere la frolla dei biscotti. Ci sono decine di influencer italiane che hanno lasciato il lavoro dipendente a tempo indeterminato per stare a casa a far finta che quello delle sponsorizzazioni sia lavoro riproduttivo e non lavoro stipendiato. Scopriremo tra qualche anno quello che succede a queste donne quando i figli diventano meno fotogenici con l’età. In Dopo il lavoro si parla del paradosso di Cowan: «Ruth Schwartz Cowan, delineando il paradosso che ora porta il suo nome, dimostrò che, nonostante tutte le nuove apparecchiature, il lavoro domestico non sembrava essere diminuito tra il 1870 e il 1970» e questo perché la casa deve essere sempre più pulita, i piatti sempre più impiattati, i bianchi sempre più bianchi. Oggi ci sono le influencer che fanno finta di darti una soluzione mentre in realtà generano un bisogno. La mia canzone d’amore preferita è un pezzo dei Desaparecidos di Conor Oberst e si intitola Man and wife, the former (Financial Planning) e fa così: «Se hai bisogno di soldi per le bollette, amore mio, potrei coprirti, perché ho venduto un po' di cose e sto risparmiando. Possiamo prendere quella casa vicino al parco, farò più ore nel negozio di mio padre. Sì, pianificheremo tutto e ci iscriveremo alla classe media».
Questo mi ha convinto che se sapessimo tutti cambiare una lampadina non esisterebbero nemmeno le canzoni d’amore.