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Russia, lo sgarbo di Salvini a Meloni: il leader leghista diserta l’Aula

10 mesi fa 48
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La sedia alla destra di Giorgia Meloni è vuota. E tutti, nell’Aula del Senato, guardano lì, al posto che sarebbe dovuto essere di Matteo Salvini e che invece viene occupato prima dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e poi da quello per l’Autonomia, Roberto Calderoli. Due leghisti, certo, ma non è la stessa cosa. Non può esserlo, se ancora riecheggiano nei corridoi di palazzo Madama le parole con cui il leader leghista, il giorno precedente, legittimava la vittoria di Vladimir Putin in Russia provocando le ire dei suoi alleati. Tanto meno può essere derubricata a una casualità, se Salvini, da tempo a conoscenza del fatto che si sarebbero tenute in Senato le consuete comunicazioni della premier, ha preferito accogliere al ministero dei Trasporti i rappresentanti del Consiglio nazionale dei geologi: «Impegni improrogabili». E poi un fiume di riunioni su taxi, ncc, balneari, Brennero, sicurezza stradale e nuovo codice della strada. Una sorta di mini-programma di governo da discutere, guarda caso, proprio ieri pomeriggio. Insomma, senza ingenuità, per i fedelissimi della premier «questo teatrino è stato un altro sgarbo a Giorgia».

Nei piani di Meloni, ogni cosa si sarebbe dovuta svolgere secondo un preciso copione, con il duplice obiettivo di coprire le ambiguità leghiste su Putin e mostrare una linea univoca nella maggioranza sull’Ucraina. Anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, prima di sapere dell’assenza di Salvini, aveva provato ad archiviare il cortocircuito del giorno precedente: «Non facciamone un caso di Stato. - diceva a La Stampa -. Mi sembra abbiano precisato. E poi, contano i fatti: oggi la maggioranza sarà compatta come sempre». Meloni, nel frattempo, aveva preparato il suo discorso con cura, dosando ogni parola, per evitare che qualunque passaggio potesse essere interpretato come un attacco all’alleato della Lega. La giornata, nella testa della premier, si sarebbe quindi chiusa con il voto finale dell’Aula, al quale i senatori del Carroccio avrebbero partecipato, sotto gli occhi di Salvini, restituendo chiarezza alla linea di politica estera del governo. Quella sedia vuota, invece, ha scombinato tutto.

Il gesto di Salvini viene considerato, nelle file di Fratelli d’Italia, come «la terza sgrammaticatura delle ultime 24 ore». Per di più - fanno notare - arriva in un momento in cui la premier, in Aula, invita le opposizioni a sostenere la linea del governo in Ucraina, evitando «tentennamenti». Pulpito scomodo dal quale avanzare questo genere di richieste, se all’interno della stessa maggioranza si fa difficoltà a far sentire una voce sola nei giudizi sul Cremlino. E questo, più di ogni altra cosa, irrita Palazzo Chigi. «Ci possiamo scontrare sulle questioni interne, sul terzo mandato, sui decreti, ma non sulla linea di politica estera», è il senso del messaggio recapitato alla Lega dagli emissari di Fratelli d’Italia.

I senatori del Carroccio, dal canto loro, si comportano da “perfetti” parlamentari di maggioranza. Hanno avuto l’ordine, in mattinata, di non fare nulla che potesse dare adito a polemiche. Il segnale, quindi, doveva essere circoscritto esclusivamente alla sedia vuota del loro leader. Quando la premier interviene sulle elezioni russe, denunciando l’illegittimità del voto nei territori occupati in Ucraina, le truppe leghiste reagiscono con applausi scroscianti. Tengono alte le mani, ben visibili. Tajani li fissa, dai banchi del governo, senza distogliere mai lo sguardo. Soddisfazione amara.

Il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo, braccio destro del leader, evita ogni domanda dei cronisti: «Siete ossessionati da Salvini. Non ho nulla da commentare», dice affrettando il passo. Eppure ce ne sarebbero di cose da dire. All’interno del partito si vive ancora l’imbarazzo dell’ennesima ambiguità comunicativa del segretario. Il vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio, prova a rimettere tutto in ordine: «Matteo è stato mal interpretato», assicura mentre rientra in Aula. E cerca di correggere la linea, riportandola sui binari del governo: «Sappiamo tutti benissimo che in un regime come quello russo le elezioni sono una farsa», sottolinea. Ma in quale altro modo potevano mai essere interprete le frasi di Salvini? «Credo parlasse in una chiave interna, italiana, non russa - azzarda Centinaio -. Come a dire che il voto, qui, deve essere accettato, perché invece quando vinciamo noi, poi ci sentiamo sempre dire che hanno vinto gli ignoranti, i brutti, i cattivi». Ma tra i parlamentari leghisti, è vero, quasi tutti sanno che le elezioni russe sono una farsa. Condividono quindi, più o meno silenziosamente, una linea diversa da quella del leader. E anche questo, dicono da FdI, è un motivo di preoccupazione: «Se Salvini perde il controllo sui suoi parlamentari, per noi è comunque un problema serio. Non solo per la linea di politica estera della maggioranza, ma anche per i provvedimenti che dobbiamo mettere in cantiere nei prossimi mesi».

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