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Rutelli: «Roma è la Capitale della sintesi, ha le carte per favorire la pace e unire il mondo»

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Parte da un’immagine Francesco Rutelli, per raccontare la Roma cosmopolita, luogo d’incontro, agente di pace: l’immagine di un capolavoro del Bernini a Piazza Navona.

Che cosa rappresenta, secondo lei, quest’opera?

«Quando Innocenzo X, a metà Seicento, deve realizzare la Fontana dei Fiumi incarica quel grande scultore. Un romano d’oggi direbbe: che fiumi ci metto, il Tevere, il Po, l’Arno? Papa Pamphili fa mettere il Nilo, il Rio de la Plata, il Danubio, il Gange, in rappresentanza dei quattro continenti allora conosciuti. Questo significa che chi dalle altre parti del mondo viene qui a Roma sa di trovarsi a casa propria, in una città mondiale. Il pensiero universale legato alla Roma antica e a quella delle grandi epoche come il secolo del barocco sono alla base del senso della Roma di oggi. Un senso che sta nella forza di attrazione e nella capacità di fare sintesi. Perciò vediamo il protagonismo della nostra capitale in questa fase di frammentazione del mondo. Perché Roma può unire proprio come Bernini ha saputo unire, qui, i quattro fiumi dei quattro continenti».

Capitale mondiale del dialogo?

«Questo è di sicuro il luogo giusto. Non dimentichiamoci che, dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, arrivarono i Trattati di Roma, firmati in Campidoglio nel 1957, che sono stati il punto di partenza della futura Unione Europea. Anche un organismo oggi controverso, ma con radici importanti, sto parlando della Corte Penale Internazionale, è nato con lo Statuto di Roma nel 1998. Ero sindaco in quel periodo e ricordo bene l’arrivo delle delegazioni e la firma in Campidoglio. Fu un passo avanti imprescindibile per lo sviluppo dei diritti dell’uomo. E ancora: tendiamo a dimenticare che Roma è la capitale mondiale del contrasto alla fame e per lo sviluppo agricolo e ospita Fao, Pam (il Programma alimentare mondiale che qui decide gli aiuti che hanno salvato decine di milioni di persone dalla fame) e Ifad che è il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo».

Ombelico del mondo?

«Roma è il luogo del concerto universale. Voglio leggere questa espressione nella doppia etimologia. Cumcertare significa gareggiare insieme e fare una musica armoniosa quando si trova l’accordo. Universale vuol dire universo e cattolico, da una parola greca, è il significato di universale. In Roma coincidono le due parole urbs e orbis. Non c’è un solo soggetto. Roma funziona perché ci sono il Quirinale, Palazzo Chigi, Roma Capitale, la Santa Sede. Questi elementi diversi, se riescono a collaborare, fanno la forza e succede che le cose funzionano».

Roma ha avuto alti e bassi. Ora solo alti?

«Guai a fare del trionfalismo. Stiamo con i piedi per terra. Ma cerchiamo di essere consapevoli delle capacità della Città Eterna. 500 anni fa, nel 1527, avviene il Sacco di Roma. La città viene devastata; si calcolano 20mila morti, donne stuprate in massa, anche le suore; torna la peste; le chiese e i palazzi depredati, il papa scappa a Orvieto e il lanzichenecchi e i loro complici spadroneggiano per settimane. Poi però, in pochi anni, arriva Paolo III Farnese e cambia il quadro: dalla catastrofe alla rinascita, il pontefice chiama Michelangelo a creare il Giudizio Universale e sempre a lui chiede di rifare la piazza del Campidoglio».

La reinvenzione nella tradizione?

«Questa è storicamente una capitale che gioca su tanti ambiti. Siamo stati un impero basato sul potere militare, ed è vero. Sulla logistica e le infrastrutture, ed è vero: basti pensare all’invenzione delle strade o agli acquedotti come quello di Atene, tuttora in funzione, di cui ho parlato l’altro giorno proprio in un convegno nella capitale greca. Ma Roma insegna al mondo anche il valore delle istituzioni, l’equilibrio dei poteri. SPQR significa il senato, cioè il potere, e il popolo, cioè la voce del popolo. Questo equilibrio, non facile, è una specificità di Roma che accompagna traumi e scossoni ma è anche il lascito che oggi ci rende super contemporanei e dotati di quel know how affinché il mondo possa trovare capacità di sintesi e di pacificazione».

Veniamo da lontano per andare lontano: questo il succo del suo discorso?

«I discorsi su Roma possono essere infiniti. Questa città è una sorpresa continua. Quando la Regina Elisabetta venne per il Giubileo del 2000 la portai a spasso sul Campidoglio. Vede, le dissi a un certo punto, mostrandole una moneta che avevo estratto dalla tasca: queste mura sono il luogo in cui è nata la parola moneta, money come dite voi, perché qui c’era il tempio di Giunone Moneta adiacente alla zecca. Lei era piena di curiosità, a un certo punto mi fa: perché Marco Aurelio a cavallo sulla piazza del Campidoglio non ha le redini? Ma resta attonita, al Tabularium, quando le dico che la nascita di Gesù a Betlemme avviene per seguire l’ordine del censimento, emesso qui dall’Imperatore».

Una storia così spiega il presente, compreso quello dell’attivismo di Roma per la pace in Medio Oriente e in Ucraina con la conferenza per la ricostruzione a luglio?

«Tutti i fili si tengono in questa vicenda plurimillenaria. Le prospettive di pace a cui Roma insieme al mondo sta lavorando riaprono una speranza e sono alimentate dall’esordio di papa Leone. Ma sono anche frutto della consapevolezza che l’Italia deve saper usare bene le carte che ha».

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