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Salvini, Orban e Le Pen: i ?Mega? riuniti a Madrid (ma Musk non ci sarà)

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Cravatta rosso Donald e cappellino (blu, come la bandiera dell’Ue). A Madrid è il giorno del battesimo dei “Mega”, nel senso dello slogan trumpiano opportunamente riadattato per il Vecchio continente “Make Europe Great Again”. Anche se gli organizzatori già mettono nel conto un’assenza pesante: Elon Musk, padrino spirituale dell’asse sovranista pro Trump al di qua dell’Atlantico, con la convention madrilena dei Patrioti salvo sorprese non si collegherà. Dopotutto «è un vertice politico di leader europei», minimizzano da Vox, il partito dell’ultradestra spagnola di Santiago Abascal che è il regista del conclave “nero”. Anche se nessuno, tra gli ospiti del Marriot Auditorium alle porte della capitale iberica, esclude che il «George Soros della destra» – come ormai lo ha soprannominato qualcuno – possa decidersi all’ultimo per un blitz in video. Chissà.

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GLI OSPITI
Intanto, ieri a Madrid sono atterrati tutti gli altri leader che puntano a imporre in Europa la stessa agenda del tycoon Oltreoceano: dall’addio all’Oms alle espulsioni dei migranti irregolari.

Con l’ambizione, un domani non troppo lontano (già ora costituiscono tutti insieme il terzo gruppo all’Europarlamento), di sostituirsi ai partiti conservatori tradizionali. Dal premier ungherese Viktor Orban alla madrina della destra francese Marine Le Pen, passando per l’azionista di maggioranza dell’esecutivo olandese Geert Wilders.

A Madrid c’è pure Matteo Salvini, che rivendica l’intuizione di un’internazionale trumpiana lo scorso ottobre, sul palco di Pontida, prima ancora che The Donald tornasse a prendere possesso dello Studio ovale. «Questi incontri costruttivi in cui si propongono soluzioni per rimediare ai disastri di Bruxelles sono tra le principali ansie delle sinistre», sorrideva ieri il Capitano leghista, seduto al lungo tavolo in mezzo agli altri leader dei Patrioti per il primo scambio di idee della due giorni. Per poi tuonare contro la «sciagura economica imposta da Von der Leyen e Timmermans», l’ex vicepresidente della Commissione Ue e padre del Green Deal.

Non pare intimorito, il vicepremier, dall’effetto che i dazi minacciati da Trump potrebbero scatenare sulla già traballante produzione industriale dell’Ue. «Sui dazi – avverte i colleghi – bisogna partire in anticipo: l’agricoltura europea non è messa in difficoltà da Trump ma dalle regole, dalle tasse e dai vincoli europei». Allo stesso modo, secondo Salvini, gli operai del settore auto e moto del Vecchio continente «non rischiano il posto per colpa di Trump o della Cina, ma per colpa delle regole idiote imposte da Bruxelles». Una battaglia, quella contro l’iper-regolamentazione brussellese, che accomuna tutti i leader “Mega”. Al pari dell’avversione per l’immigrazione irregolare, con un plauso al modello delle espulsioni in catene inaugurato dall’inquilino della Casa Bianca. «Trump – commenta Salvini con gli alleati – in pochi giorni ha espulso migliaia di persone e presidiato il confine col Messico. Von der Leyen temo non lo farebbe mai».

Dopo la pace fatta con Meloni sul caso delle vecchie chat di FdI rivelate dal Fatto, in cui il numero uno della Lega era stato definito «bimbominkia» (replica Meloni via social: «Non sarà certo qualche polemica forzata a scalfire il nostro rapporto. Con Matteo Salvini abbiamo affrontato tante battaglie insieme e continueremo a lavorare fianco a fianco, la stima nei suoi confronti è nei fatti»), oggi il numero uno della Lega sarà tra gli ultimi a intervenire sul palco sovranista di Madrid, subito prima dell’amica Le Pen, di Orban e della chiusura affidata ad Abascal. Presenti anche Andre Ventura, numero uno della formazione portoghese Chega, e l’ex primo ministro ceco Andrej Babis. Così come non dovrebbe mancare all’appello il leader dell’Fpo austriaca, Herbert Kickl. In tutto, 13 leader da ogni parte dell’Ue. Con l’obiettivo dichiarato di «consolidare l’alternativa al consenso di Popolari e Socialisti», spiega Abascal. Che ieri sera ha riunito tutti a cena con Kevin Roberts, presidente della Heritage Foundation: un think tank americano ultraconservatore, considerato punto di riferimento dell'ideologia trumpiana. E tra un piatto di patats bravas e un assaggio di gamberi al ajillo, è probabile che si sia discusso di come far crescere la costola europea dei “Maga”. Con il sostegno – magari anche finanziario – dei supporter del tycoon, a cominciare forse proprio da Musk.

IL TIMORE
Eccolo, il timore che aleggia in queste ore a Bruxelles, nelle stanze dei Popolari e di von der Leyen. La dichiarazione di guerra è sul tavolo, e non è mai apparsa tanto preoccupante. «Ogni elezione in Europa vede le nostre idee progredire, le elezioni europee dello scorso giugno lo hanno dimostrato», suona la carica da Madrid Marine Le Pen. Le prossime elezioni in Germania, con l’Afd in ascesa, potrebbero confermarlo. La leader dell’ultradestra tedesca Alice Weidel un anno fa ruppe coi Patrioti per contrasti sulla mancata condanna del regime nazista proprio con Le Pen. Chissà che, in caso di successo, non possa essere di nuovo accolta a braccia aperte nella nuova famiglia dei Mega.

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