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ROMA. Dopo l’appello degli scienziati contro il definanziamento del Ssn che fa allungare le liste di attesa discriminando chi non può aggirarle pagando il privato, prima la premier e poi Schillaci provano a controbattere sciorinando i numeri in crescita dei finanziamenti pubblici per la sanità. Pompandoli però più di quanto qualche obbligatoria sottrazione non dica. Partecipando a un evento sulla sanità organizzato da Forza Italia ieri il ministro della Salute ha ribattuto alle accuse affermando che «il governo ha aumento le risorse per il fondo sanitario nazionale raggiungendo cifre mai viste in passato». E i numeri sciorinati il giorno prima anche da Giorgia Meloni sembrano dargli ragione. Salvo poi scoprire che dietro quelle cifre in crescita vertiginosa c’è il trucco. «Solo con l’ultima legge di bilancio ci sono 3 miliardi in più nel 2024, 4 nel 2025, 4,2 nel 2026».
Peccato però che le cifre non vadano sommate perché si riferiscono non all’aumento anno per anno ma alla crescita rispetto al 2023. E infatti il fondo passa dai 134 miliardi del 2024 a 135,4 l’anno successivo e a 135,6 nel 2026. Insomma i soldi in più per i prossimi due anni sono appena 2,6 miliardi. Non a caso la quota di finanziamento pubblico rispetto al Pil invece di salire scende dal 6,4 al 6,2%. E quando Schillaci e Meloni gonfiano il petto parlando di 3 miliardi in più per l’anno in corso, omettono di dire che di quella cifra 2,4 miliardi sono da accantonare per il rinnovo del contratto di medici e infermieri, mentre 520 milioni sono assegnati ai privati per implementare l’offerta di prestazioni con l’obiettivo di abbattere le liste di attesa. Che a tre mesi abbondanti dal varo della manovra restano ancora lunghissime in larga parte d’Italia come documentato dalla nostra inchiesta di martedì.
Ne è consapevole il governo che con la premier Meloni, il vice Tajani e lo stesso Schillaci preannuncia a breve un nuovo Piano per abbatterle. L’obiettivo è arrivare prima delle Wuropee di giugno a un decreto legge che metta sul piatto altri 600 milioni per acquistare ancora una volta prestazioni dai privati convenzionati o dagli stessi medici e tecnici sanitari pubblici. Magari per far lavorare tac e risonanze anche la sera e tenere aperti gli ambulatori un po’ più a lungo di quanto non avvenga oggi, dove il 42% degli specialisti ambulatoriali delle Asl non visita più di 10 ore a settimana.
Come ha spiegato Schillaci i soldi però non verranno distribuiti a pioggia tra le Regioni, che all’ultima tornata sono state capaci di non spendere 160 dei 500 milioni loro assegnati per accorciare i tempi di attesa. «Oggi sembrerà assurdo ma non abbiamo tempi certi sulle liste di attesa. Per questo stiamo definendo un sistema di monitoraggio puntuale in modo da sapere in quale ambito effettivamente intervenire», ha detto Schillaci.
Ma certo è che i soldi da soli non bastano se manca poi il personale. E qui il ministro anticipa che a breve arriverà «l’abolizione dell’anacronistico tetto di spesa per le assunzioni», quello che vincola le regioni a non andare oltre quanto speso nel 2004 diminuito per di più dell’1,4%. Ma anche qui niente liberi tutti. Perché è vero che mancano almeno 10mila infermieri, ma il numero di medici per posto letto è persino sotto la media Ue, solo che sono distribuiti male. Perché in alcuni reparti c’è un tasso di occupazione dei letti che arriva al 250% mentre in altri, anche nello stesso ospedale, tre letti su quattro restano vuoti. Per questo l’Agenas insieme all’Economia sta mettendo a punto un algoritmo che calcoli l’effettivo fabbisogno del personale non in base al numero di letti ma a quello dei ricoveri e della loro complessità.
Una rivoluzione alle quale Schillaci vorrebbe affiancarne un’altra, che riguarda l’appropriatezza prescrittiva. Perché è indubbio che dietro le liste di attesa ci sono anche molti accertamenti inutili. Prescritti più che per necessità per difendersi da eventuali cause sanitarie. Un problema che da un lato il governo sta cercando di risolvere con la riforma della colpa medica, che dovrebbe consentire di perseguire solo la colpa grave e il dolo. Dall’altro però Schillaci vuole fornire ai medici delle linee guida sui percorsi di cura adeguati, alle quali si dovranno uniformare, limitando così uno spreco che secondo il Ministero ci costa 10 miliardi l’anno. Schillaci ha già affidato il compito all’Istituto superiore di sanità. Un tentativo che fu già tentato anni fa dall’allora ministra Lorenzin. Che emanò le linee guide per decreto. Salvo poi doverlo rimettere nel cassetto intimorita dalla rivolta dei medici. Chissà se il tentativo di Schillaci avrà miglior sorte.