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Andrea Muzzolon 28 dicembre 2024
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Imperativo: non offendere chi non crede in Dio. Poi, se rimane tempo, si possono anche celebrare le festività natalizie. È arrivata a questo estremo paradosso la Chiesa anglicana, che in queste settimane ha trascorso più tempo a passare al setaccio canti e testi religiosi per censurare tutti i riferimenti che avrebbero potuto infastidire chi non si riconosce nella confessione britannica. Il caso è esploso in seguito ad una comunicazione inviata dalla Chiesa anglicana a tutte le diocesi del Regno Unito in cui veniva «consigliato» ai sacerdoti di cambiare il testo di alcuni testi classici. L’obiettivo sarebbe stato quello di evitare «offese non necessarie» ai fedeli di altre confessioni. Una deriva della Chiesa, britannica ma non solo, che non ha prodotto altro effetto se non quello di allontanare sempre più fedeli. Negli ultimi anni, nel solo Regno Unito, hanno chiuso oltre 400 chiese e il trend non sembra arrestarsi.
Ma evidentemente ai vertici della confessione guidata da Re Carlo III la cosa che sta più a cuore è non urtare la sensibilità altrui. Tanto che il contenuto della circolare è chiarissimo: «Cercate di usare un linguaggio che non aggiunga confusione o tensione, senza che tolga alcunché alla buona notizia della Natività». Il risultato? Un mare di polemiche sollevate da sacerdoti e fedeli. Ma non solo. In molti ci si sono fiondati per sfruttarla in chiave satirica, proprio come ha fatto il quotidiano inglese Telegraph. La giornalista che ha scritto l’articolo ha scandagliato i testi della tradizione per individuare tutti i passaggi “sensibili”. E così “Vieni, Vieni, Emmanuel”, testo classico della tradizione natalizia, andrebbe profondamente rivisto perché definisce le altre religioni «al di fuori della Grazia di Dio» e parla di uno «Israele prigioniero». Non solo. Alle diocesi è stato inoltrato un link di una ricerca che evidenzierebbe come l’inno “Lo, He Comes With Clouds Descending” andrebbe proprio bandito in quanto descrive Dio come unico «vero Messia».
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Gli esempi si sprecherebbero, tanto che il suggerimento dato dalla giornalista del Telegraph ai parroci di Birmingham - città in cui il numero di moschee ha superato quello delle chiese- è di sbianchettare direttamente libri e spartiti per risparmiare tempo. Un sacerdote che ha condiviso il comunicato con il The Mail on Sunday si è sfogato affermando che la Chiesa ha «davvero perso il controllo». Un attacco così duro da sottolineare come neppure Vladimir Putin, considerato dal vicario un dittatore, «non ordina alle chiese ortodosse di censurare i canti natalizi». Anche Chris Sugden, ex membro del Sinodo generale e segretario esecutivo del gruppo Anglican Mainstream, si è schierato contro la deriva woke delle istituzioni religiose. Sugden ha dichiarato che gli inni sacri non andrebbero alterati solo perché «la Chiesa si conforma a ogni causa progressista».
Del resto, una domanda sorge spontanea: «Se uno partecipasse a un festival ebraico o indù, ti aspetteresti che alterassero i testi o alterassero la liturgia perché ci sono alcuni che potrebbero trovarli difficili?». Eppure, la resa dell’anglicanesimo al politicamente corretto è ormai una pratica collaudato. L’anno scorso è stato lanciato un progetto per promuovere l’uso del linguaggio gender -neutral per riferirsi all’Onnipotente (sia mai che qualche femminista si senta offesa). E poco dopo il Sinodo generale ha votato per riconoscere i matrimoni gay. In quest’ottica, non c’è quindi da stupirsi per la censura dei canti di Natale: si tratta solo dell’ultimo atto di una Chiesa che ha smarrito sé stessa.