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Un bambino. Uno solo. Al raduno del Torino di Cairo, ieri al caro vecchio Filadelfia, dove chi c’è stato sostiene ci fossero meno tifosi che a quello del Taranto, con tutto il rispetto va da sé per il Taranto, si è presentato soltanto un bambino.
L’ultimo dei Mohicani, si sarebbe tentati di dire, anche se sul lungo periodo si potrebbe forse azzardare altresì il parallelo con Hiroo Onoda, quel militare giapponese rimasto a combattere solitario nella giungla quando ormai il secondo conflitto mondiale era finito da trent’anni. Ecco: non vorremmo che il futuro riservi all’unico bambino presentatosi ieri al raduno dei granata un destino simile a quello del soldato Onoda, ovvero ritrovarsi fra trent’anni a essere l’unico superstite, l’ultimo tifoso di un club che in un ormai sempre più lontano passato ha fatto la storia del calcio non solo italiano e che oggi, a poco meno di cinquant’anni dall’ultimo scudetto, pare francamente destinato a non vedere mai più il tricolore cucito - vabbè, stampato - sulla Maglia, nel frattempo diventata per coloro che di campionato in campionato provvisoriamente la indossano una maglia come tante altre.
L’ultimo trofeo vinto dal Torino è come sappiano la Coppa Italia portata a casa nella stagione 1992/93, epoca in cui il bambino in questione non era ancora nato. In compenso, lui e i suoi coetanei nati dopo il 2015 non hanno mai visto neppure vincere non dico un titolo nazionale, ma anche solo un derby. Anzi: i numeri come usa dire impietosi delle statistiche dicono che il Torino è la squadra italiana che ha fatto in assoluto meno punti nel corso degli ultimi diciannove anni nelle partite disputate contro la compagine bianconera. E se ieri Alessandro Buongiorno si è presentato al raduno con parte degli atleti convocati dal neo allenatore Vanoli, lo ha fatto perché al momento è ancora un tesserato del club, ma ormai è certo il suo passaggio al Napoli di Conte. Ancora una volta, un giocatore-simbolo lascia dunque la squadra granata: di sicuro ci diremo che almeno non ha fatto la stessa scelta di Bremer, e dunque non ce lo ritroveremo di fronte come avversario nei due derby del prossimo campionato. Ma a questo punto è davvero una magra consolazione.
Da parte nostra, alla viglia di un torneo in cui chissà, forse - si accettano scommesse - ci ritroveremo ancora inchiodati a maggio dalle parti del decimo posto, tra adulti possiamo certo ripeterci che noi siamo diversi, che per chi ama il Torino vincere non è la sola cosa che conti, e che l’importante è vedere i nostri calciatori uscire dal campo con la Maglia - pardon, la maglia - sudata. E ci sarà ancora chi sui cosiddetti social esulterà anche solo se un qualche tennista o parlamentare europeo si presenterà in pubblico ostentando il granata, perché a tanto sono ridotte le nostre soddisfazioni. Ma se il Torino - che malgrado tutto con i suoi otto primi posti e sette scudetti e cinque Coppe Italia resta ottavo nella classifica perpetua della Serie A - continuerà a non regalare nessuna vera gioia a coloro che fin qui si sono ostinati ad amarlo, prima o poi al raduno in vista di una nuova stagione anche quell’unico bambino sparirà. I conti tornano, per carità. Ma si sta dissipando un patrimonio.