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Sergio Conceiçao, cos'è successo davvero in questi (pochi) giorni: Milan, rumors dallo spogliatoio

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Claudio Savelli 07 gennaio 2025

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"L’allenatore non è determinante” è una fiaba che purtroppo si racconta ancora in qualche bar sport del Paese, ma per fortuna sempre più a bassa voce. Perché ogni occasione è buona per certificare il contrario. L’arrivo di Sergio Conceiçao al Milan, ad esempio. Una settimana di gestione, due rimonte, un trofeo. Non è ancora la squadra che il nuovo tecnico vorrebbe, ma se l’è fatta bastare e avanzare con due caratteristiche che sono sue: convinzione e organizzazione. Conceiçao è un uomo convinto delle proprie qualità e organizzato nel lavoro quotidiano da proporre al gruppo. Lo ha fatto capire nella conferenza di presentazione, per chi non lo avesse seguito al Porto, spiegando di voler subito vincere e di voler parlare anche con il giardiniere di Milanello. E alle parole ha fatto seguire i fatti, inventandosi momenti in cui allenare la squadra, prima di prendere il volo per Riad o appena atterrati, perché il poco tempo che aveva doveva prenderselo tutto.

CREDIBILE
La squadra lo ha seguito perché ha trovato un uomo credibile. Conceiçao è credibile perché si presenta con un ottimo italiano e una straordinaria voglia di lavorare. I calciatori questa voglia la vedono, la sentono e la seguono. Conceiçao è riuscito a metterli in una posizione di debito, di difetto, così questi si sono messi a lavorare quanto lui, senza più scuse. Ha perfino avuto la febbre alta per giorni ma non si è mai fermato. Si è messo lì ad allenare con le occhiaie e il freddo nelle ossa, obbligando i giocatori a empatizzare. Non riesci a compiere due rimonte in quattro giorni senza quell’empatia. Magari reagisci una volta, non due nelle prime due partite, segnando cinque gol nell’ultima fase di entrambe le gare.

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Conceiçao si è presentato come un mouriniano tutto agonismo e cattiveria, in realtà è stato soprattutto intelligente a trasformare la Supercoppa in un’occasione, non in un fastidio. Iniziare con due partite extra-campionato, come uno spin-off alla stagione regolare, è l’ideale: se perdi, pace, ma se vinci, inizi con un trofeo. Non c’è modo migliore per guadagnare credito nei confronti di un ambiente che ha sfiduciato la dirigenza e la proprietà, arrivando ad assolvere il suo predecessore in panchina. C’erano tutti gli ingredienti per l’arrivo del traghettatore - aggiungiamoci lo strano contratto con la clausola d’uscita a favore del Milan tra sei mesi -, invece Conceiçao si è messo a lavorare per rimanere a lungo. Di fronte a lui si è ritrovato l’ex compagno di squadra nella Lazio campione d’Italia, Inzaghi, maestro di coppa. Tatticamente lo ha battuto. L’Inter non è riuscita a imporre il suo ritmo e i due gol sono più che altro dovuti agli atavici difetti difensivi del Milan in transizione. Per sistemare quelli, allenati poco fin da Pioli, non basta una settimana. Ma per il resto il Milan è già migliorato. La sfida alla lavagnetta va al portoghese e di conseguenza va la sfida in campo. Il Milan inibisce le rotazioni nerazzurre schierandosi con i reparti compatti e basculanti, ma anche con diversi giocatori deputati a rompere le linee. È l’unico modo per affrontare l’Inter e lo aveva dimostrato proprio Fonseca e Conceiçao è stato bravo e umile a ispirarsi al derby di settembre. Poi sopra ci ha messo del suo. Ed è questo che distingue gli allenatori bravi da quelli vincenti.

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