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Il campione gentiluomo regge l’ombrello alla raccattapalle e l’avversario estimatore lo aspetta prima di uscire dal campo. Tanto per prendere lo stesso numero di gocce, per condividere identico tempo al freddo. Piove e la rivalità tra Sinner e Alcaraz, in pausa, è ancora più alternativa.
I due vengono da settimane di complimenti e se li portano in campo, alla faccia dell’alta intensità che divora le sinapsi, dell’agonismo che annebbierebbe il cervello. Soprattutto, i due che a Indian Wells hanno dato spettacolo, sono eredi di un esempio che segna la strada. Federer contro (e insieme) a Nadal: un concentrato di stima coltivata dai due opposti del campo e finita con un mano nella mano di romantica purezza. Però lì l’Italia stava a guardare, stavolta staremmo a tifare e lo facciamo, solo che ci troviamo quasi spiazzati. Questo confronto tra il meglio del tennis che c’è, Djokovic permettendo, dobbiamo ancora imparare a gestirlo. Va capito. E non possiamo sprecarlo, chissà quando ci ricapita una goduria così.
Sinner versus Alcaraz non è divisivo e nel Paese dove un’opinione viene nutrita per contrasto è già complicato mettere a fuoco una sfida lontana da fronti senza nulla in comune. Sinner e Alcatraz hanno tutto in comune, la generazione, l’atteggiamento, l’amicizia, non i colpi, non lo stile ma i,l Dna da fuoriclasse sì. Sinner ha scalato la classifica anche grazie alle partite giocate contro Alcaraz, non tanto in quelle ore, ma nelle moltissime altre trascorse ad allenarsi per pareggiare il livello. Glielo ha riconosciuto. A un certo punto parevo che lo avesse superato e lo spagnolo, di due anni più giovane, lo ha ammesso. Si sono vezzeggiati e senza alcuna provocazione e poi si sono ritrovati sotto il cielo capriccioso di Indian Wells e non hanno avuto bisogno di fasi di studio, di gesti a vuoto solo per capire la quota di agonismo in circolo. Inutile, hanno vent’anni, nulla da controllare e tutto da vivere. Anche una semifinale di un torneo che non definisce il futuro ma racconta una precisa storia, un faccia a faccia che promette sempre di più. Questi si sorridono alla fine di scambi tiratissimi, altro mondo.
Chi vince non stabilisce chi è il migliore, almeno non in assoluto, non adesso. In questo caso il match decreta chi va avanti, in altri deciderà trofei, stati di forma e grado di maturazione, ma è tutto parte di un viaggio appena iniziato che ha l’ambizione dell’epopea. Significa che si può pure perdere, come è successo a Sinner, senza per questo dover valutare i danni, mettere in discussione il pregresso. Ci saranno incroci delicati, carichi di storia, ma qui la posta non era poi così bassa: il posto numero due che Sinner non ha ancora toccato, che Alcaraz, alla sua età, non intendeva salutare, che la maggioranza dei tennisti non vede mai, che per l’élite determina carriere, eppure si è visto il talento, non la tensione, si è avvertito il divertimento, non la frustrazione e si spera vada avanti così. Togliendoci la possibilità di spaccarci tra risultatisti e giochisti, di schierarci in fazioni.
Guardare i prossimi Sinner-Alcatraz ci allenerà a considerare un’alternativa al disprezzo, obbligandoci a testare una realtà in cui due fenomeni non si considerano il reciproco ostacolo alla vetta. Sinner e Alcaraz si migliorano, si stimolano, si rispettano e hanno cura l’uno della l’altro, si danno appuntamento per raggiungere gli spogliatoi insieme. Poi uno regge l’ombrello alla ragazza che sta lì per aiutarlo, chiacchiera con lei come fosse alla fermata dell’autobus invece che in mondovisione in attesa di un duello tra pari e l’altro si fa servire, come è lecito. Carattere. Però se davanti a questa foto sotto la pioggia state cercando le differenze per una scala di virtù avete sbagliato gioco. O almeno loro ne stanno facendo un altro.