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LONDRA. Se c’è un genere musicale che ha sfidato il passare del tempo e può contare su legioni di fan pronte lottare per difenderlo, questo è il Prog. Jethro Tull, King Crimson, Van Der Graf Generator e ovviamente i Genesis sono stati seminali per generazioni di musicisti che sarebbero arrivati dopo di loro e i dischi del passato continuano a vendere. Lo storico, The Lamb Lies Down On Broadway dei Genesis, l’ultimo con Peter Gabriel alla voce, compie 50 anni e per celebrarlo il mitico chitarrista Steve Hackett (74 anni) ha deciso di riportare in giro il suo tour Genesis Greats - Lamb Highlights & Solo.
Mr. Hackett, cinquanta anni che per quel disco non sembrano passati affatto.
«Uscì nel novembre del 1974 e Dio solo sa quanto sia stato importante per la band anche se non avremmo mai immaginato diventasse così grande per il pubblico. Nello show che porterò anche in Italia dal 31 ottobre a Roma e a seguire Bologna, Padova e Milano per poi chiudere il 5 novembre al Colosseo di Torino, farò solo nove pezzi di Lambs, i più importanti, ma sono certo che i fan saranno comunque felici».
Lambs, come lo chiama lei, non fu un successo immediato, o sbaglio?
«Assolutamente no, anche perché fu un album controverso. Foxtrot che uscì due anni prima, al cospetto fu un fulmine da classifica».
Per quali ragioni?
«La principale era che all’epoca non suonavamo niente di quello che si sentiva in giro, canzoni che duravano 7, 11 minuti o anche più lunghe. Cinquanta anni fa era pura avanguardia e ci volle un po’ per farla arrivare anche se una grossa spinta verso il cambiamento ce la diede Sgt. Pepper’s dei Beatles. Forse non l’ho mai detto ma tutto partì dall’aver ascoltaro la rivoluzione che c’era in quell’album».
Sapevate che Lambs… sarebbe stato l’ultimo disco con Peter Gabriel?
«Sì. Peter un giorno venne in studio e disse: “Farò tutta la promozione che serve, ma alla fine degli impegni di questo lavoro lascerò il gruppo”. Era ed è un uomo di parola e quello accadde. È stata una grande perdita per i Genesis, aveva un enorme talento e lo sta dimostrando ancora oggi; personalmente ero molto triste perché eravamo d’accordo su molte idee considerate radicali dal resto del gruppo. Ci piaceva sperimentare, eravamo attratti dalle novità, da quella che più tardi si sarebbe chiamata world music».
Nel tempo l’interesse per l’Africa per Gabriel è cresciuto e i suoi sforzi umanitari sono stati impressionanti.
«Ho avuto il privilegio di lavorare con lui e credo che il mondo sia fortunato a poter contare su persone come Peter».
Via Gabriel il cantante dei Genesis divenne Phil Collins.
«La miglior decisione possibile. Come sapete di questi tempi non sta bene ma ha dato tutta la sua vita alla musica ed è stato un grande. Molti non sanno che ha iniziato a lavorare fin da bambino e se ha deciso di ritirarsi ha fatto bene».
La superband che porterà in tour è davvero eccezionale: Roger King, Craig Blundell, Rob Townsend, Jonas Reingold e Nad Sylvan sono artisti con la A maiuscola.
«Suoniamo insieme da tanto e la forza della loro professionalità sta nella tranquillità che mi infondono quando, nella seconda metà dello spettacolo, facciamo le nove canzoni di Lambs. Si divertono un sacco e il pubblico lo avverte».
Dall’alto della sua esperienza come vede la musica di questi anni ‘20?
«Di una povertà musicale senza precedenti. Le giovani generazioni stanno ascoltando solo rap, trap e qualche altra piccola bolla musicale. La qualità dell’offerta è povera. Per strada si vedono ragazzi che sembrano molto annoiati, quasi incapaci di costruire relazioni fra loro. Gli enormi investimenti nella tecnologia hanno aperto strade nuove alla creatività ma hanno alzato la soglia della solitudine. Artisticamente per fare un disco non servono solo un cantante e un bravo programmatore al computer, il risultato è che c’è molta tecnologia al servizio di pochissime idee. Mi fa una grande tristezza».