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Tajani: “Basta magistrati politicizzati, ora la riforma. Serve uno scatto sulla Difesa comune Ue”

11 ore fa 2
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Ministro Antonio Tajani, lei oggi parteciperà a un vertice sull’Albania con mezzo governo. Di cosa si tratta?
«Di decidere come procedere su una scelta giusta che confermiamo e dovremo rendere operativa. Sono molto colpito da alcuni aspetti della discussione italiana, innanzitutto per come si parla dell’Albania: è un Paese amico, candidato a entrare in Europa. E poi faccio notare che il modello sta suscitando interesse, vedi la presidente della Commissione Ue o Paesi come la Polonia o la Finlandia».

Però non funziona. È tutto un contenzioso coi giudici.
«Non è accettabile che siano loro a stabilire i Paesi sicuri. Se lo decidono i giudici, nessun Paese al mondo è sicuro. C’è poco da fare: occorre accelerare sulla piena applicazione del nuovo “patto di asilo e migrazione” per evitare contenziosi. Nel frattempo non c’è alcun motivo per non continuare a perseguire la strada intrapresa».

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A proposito di giudici, l’assoluzione di Salvini non dimostra che il sistema giudiziario funziona?
«È l’opposto: l’assoluzione dice che il fatto non sussiste, quindi c’è qualcuno che voleva far sussistere un fatto che non sussiste. Un caso di scuola di politicizzazione di alcuni magistrati, anche se non della magistratura nel suo insieme. C’è un problema che ha a che fare con la credibilità stessa del sistema».

Dunque: avanti con la separazione delle carriere, giusto?
«Per noi è una battaglia storica che prescinde dall’assoluzione di Salvini. Per questo dobbiamo accelerare sulla riforma della giustizia. Chi governa deve avere la possibilità di governare».

Avanti anche sulla responsabilità civile dei magistrati come dice Salvini?
«Da sempre è una proposta di Forza Italia».

Prendiamo il corno politico dell’Albania. Gli sbarchi sono diminuiti con gli accordi in Africa. A che serve una misura emergenziale?
«Le due cose non sono in contraddizione. C’è l’Albania e c’è l’Africa col Piano Mattei, che è la risposta strutturale, infatti gli accordi con Libia e Tunisia funzionano, e in Niger ci sono militari italiani che aiutano quel Paese contro il jihadismo. Una strategia di contrasto all’immigrazione illegale è fatta di più interventi».

Anche dare ad Erdogan un miliardo sull’immigrazione è una risposta emergenziale. Dov’è una politica europea sull’immigrazione?
«Le rispondo come prima. Tamponare l’emergenza, come fece Angela Merkel ai tempi della crisi del 2014, è necessario. Per ora non è scoppiata una nuova crisi in quelle dimensioni, ma è importante che la Turchia faccia da garante per evitare la fuga verso nord. Tutto questo non è in contraddizione con una strategia di lungo periodo».

Non si capisce quale sia il ruolo dell’Europa.
«Ogni destabilizzazione in quella regione si ripercuote in Europa in termini di sicurezza. Bisogna garantire l’unità del Paese, evitare un collasso migratorio, sostenere la popolazione civile. Mi pare che su questo, compresa la tutela delle minoranze etniche e religiose, la Turchia si muova sulla stessa linea».

La Turchia è un Paese Nato, partecipa alla riunione dei Brics, sostiene milizie islamiste, dà droni all’Ucraina ma non applica le sanzioni alla Russia. È stabilizzazione o caos?
«La Turchia non è destabilizzante, fa semplicemente i suoi interessi. L’Europa deve fare i suoi. E l’Italia si muove seguendo la sua visione politica: siamo arrivati per primi in Siria a occuparci di rifugiati. Vale anche per l’Africa, dove siamo col Piano Mattei e in Medio Oriente, dove siamo pronti, in caso di cessate il fuoco, a una missione Onu a guida araba e con presenza italiana».

Quale è il vostro giudizio sul governo provvisorio che si è insediato in Siria?
«È imminente la missione di una delegazione di diplomatici italiani ad alto livello a Damasco per incontrare la nuova leadership provvisoria: ci sono segnali positivi, ma seguiremo nel concreto la loro azione. Le sanzioni alla Siria andranno revocate progressivamente, man mano che si manifesterà il loro orientamento nel senso di una transizione politica inclusiva, verso le minoranze etniche e religiose e sui diritti delle donne».

[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) "Dialogo con i ribelli di Hts e stop alle sanzioni". I dieci punti del piano italiano per la Siria]]

Ministro, era evidente che con Trump sarebbe finita l’era della “sicurezza gratis”, ma uno scatto in materia non c’è stato, vedi il vertice in Lapponia.
«Sarebbe finita anche con Kamala. Ma non è mai stata “gratis”… Non mi impiccherei al dato numerico del 3, 4, 5 per cento di spesa militare sul Pil. L’esigenza di costruire il pilastro di difesa europeo, alleato con gli Stati Uniti, prescinde da Trump».

L’Italia però è il Paese più indietro sul famoso due per cento di spesa militare.
«Più soldi alla Difesa e rispetto del “Patto di Stabilità” sono prospettive inconciliabili. Per questo chiediamo con forza di scorporare le spese e andare nella direzione del debito comune e degli eurobond per la Difesa. Sono favorevoli anche Spagna, Portogallo e il commissario europeo alla Difesa. Dobbiamo continuare a lavorare in questa direzione».

La questione della sicurezza è un tutt’uno con l’afonia politica dell’Europa sull’Ucraina.
«Il sostegno che stiamo dando a Kiev consentirà all’Ucraina di arrivare in piedi, quando sarà, alla trattativa di pace. Ora bisogna lavorare con maggiore determinazione al cessate il fuoco. E a una conferenza di pace con i soggetti coinvolti tipo quella che è stata fatta lo scorso luglio in Svizzera su iniziativa del ministro Ignazio Cassis. Questa volta per raggiungere l’obiettivo devono partecipare Russia, Cina, Brasile e India».

Non pensa però che ora si dovrebbe accelerare sull’ingresso dell’Ucraina in Europa, per dare a Zelensky una rassicurazione in vista di un negoziato?
«Anche qui, attenzione. Noi siamo pronti ed è una prospettiva giusta, ma è un percorso graduale da compiere rispettando le regole europee. Noi li aiuteremo, come stiamo facendo con i paesi dei Balcani occidentali, che da anni stanno seguendo un percorso di riforme. E saranno i primi a ricongiungersi alla Ue».

Non c’è il rischio che l’Europa sia scavalcata da un’iniziativa di Trump?
«Non credo. Anzi penso che, senza stare unite America ed Europa non possono fare nulla per la pace in Ucraina. Non possiamo dividere l’Occidente. La storia insegna. E qui c’è uno spazio per il governo italiano, nel ruolo di pontiere con gli Stati Uniti: i buoni rapporti tra Meloni e Trump aiutano».

Bene, il governo italiano è il più stabile e forte d’Europa. Perché non trasformate questa stabilità in protagonismo?
«Vale ciò che ci dicevamo sulla Difesa europea. È il momento di uno scatto nella direzione che, come Forza Italia, sosteniamo da tempo: Stati Uniti d’Europa, fine del potere di veto, poteri di iniziativa legislativa dell’Europarlamento. Solo così si può reggere di fronte alle sfide globali. Al momento opportuno porrò la questione nell’ambito del governo».

È un invito ai suoi alleati ad avere più coraggio?
«Guardi, siamo entrati in una fase in cui non possiamo continuare a piagnucolare e lamentarci… La nuova presidenza americana va vissuta come una sfida positiva, per l’Europa e per l’Italia. Quello scatto di cui si parla da anni dovremo farlo. Oppure sarà un balzo all’indietro davvero pericoloso».

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