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Tajani: «Mi fido poco di Putin. Meloni assente a Kiev? Chiedete a lei. Le Pen disgrega l?Unione»

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Sospira, alza gli occhi in cielo. Esita un attimo, poi l’affondo: «Io mi fido poco di Putin». Alla vigilia del summit di Istanbul che potrebbe cambiare il corso della guerra in Ucraina Antonio Tajani mette le mani avanti, smorza facili entusiasmi. Forse la tregua nelle trincee ucraine è meno vicina di quanto si pensi. Forse serve ancora tempo per costringere la Russia a sedersi al tavolo. Nonostante l’accelerazione che il presidente americano Donald Trump ha impresso alle trattative, riaprendo il canale con Volodymyr Zelensky. «Non mi fido di Putin» confessa il ministro degli Esteri e vicepremier italiano al Messaggero uscendo dalla sede di Forza Italia a San Lorenzo in Lucina sotto un diluvio infernale.

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IL GELO CON MOSCA

È il dossier più scottante sul tavolo del governo. Finito al centro di un pranzo venerdì convocato dalla premier Giorgia Meloni con i vice Tajani e Matteo Salvini. «Ho incontrato a Verona il vicepremier Kuleba, abbiamo parlato della ricostruzione ucraina in vista della conferenza in Italia a luglio - riprende il titolare della Farnesina mentre abbandona il quartier generale del partito azzurro - ma è difficile confidare nelle aperture di Putin in questa fase». Sono giornate frenetiche, forse decisive per il futuro della più sanguinosa guerra di terra in Europa dal conflitto mondiale. E a Palazzo Chigi ci si interroga sul da farsi.

Meloni ha scelto di non andare a Kiev al vertice dei “Volenterosi” sabato, solo un videocollegamento. Una scelta annunciata ai leader del centrodestra riuniti a pranzo nel fine settimana e spiegata con il forte scetticismo, anzi fastidio con cui la leader vive l’iper-attivismo del francese Macron, la ricerca di una photo-opportunity del capo dell’Eliseo, a tutti i costi. Fatto sta che quell’assenza ha fatto rumore e acceso polemiche in casa. «Perché Meloni non era a Kiev? Chiedetelo a lei» rispondeva ieri sera caustico Tajani. Mentre le opposizioni si preparano a chiederne conto in aula questo pomeriggio, nel premier time, il botta e risposta preparato nei dettagli ieri dalla presidente del Consiglio.

Tajani è scettico su un’immediata risoluzione della crisi ucraina. Difficile fidarsi di Putin. E se l’Europa è divisa sul da farsi è anche a causa, fa capire fra le righe il numero due del Partito popolare, delle “quinte colonne” di Mosca. «Ci opporremo a qualunque tentativo di disgregare l’Europa, come fa la signora Le Pen» affonda il ministro mentre si infila nell’auto di servizio. Parole durissime contro “Madame Marine” che solo sabato è stata ospitata a Roma con tutti gli onori da Salvini, ospite centrale della scuola politica della Lega. In serata, dalla Fondazione De Gasperi rifila un’altra bordata ai sovranisti: «Chi pensa di scardinare e distruggere l’Europa fa una scelta scellerata». E ancora: «Io non starei mai in un governo anti-Ue».

Non sono semplici distinguo fra alleati ma vere e proprie linee divisorie. Suscettibili di allargarsi mentre il governo è alle prese con le grandi crisi internazionali. Meloni lo sa. Per questo venerdì ha chiesto compattezza e discrezione ai vice sull’Ucraina. E forse non è un caso se Salvini, solitamente assai loquace, da giorni non si sbilancia davanti alle telecamere. L’altro nodo da sciogliere si chiama Gaza. Meloni non si è ancora espressa pubblicamente sul piano di occupazione annunciato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu fra le proteste della comunità internazionale.

IL NODO GAZA

«La nostra posizione è chiara, su Gaza noi stiamo con papa Leone IV che ha chiesto un cessate il fuoco immediato e con il piano di ricostruzione egiziano» dice Tajani. Tradotto: il piano di invasione di “Bibi” non rappresenta affatto la posizione italiana. Da mesi i contatti tra il leader israeliano e Meloni si sono rarefatti, l’ultima telefonata risale ai giorni prima di Natale. E il gelo è calato in queste settimane con lo stop di Tel Aviv all’invio di aiuti umanitari nella Striscia che ha fermato l’operazione italiana “Food for Gaza”. «Noi siamo con il World Food Programme - chiarisce il ministro degli Esteri - ho sentito l’omologo israeliano Sa’ar e il premier palestinese Mustafa che non vuole gli aiuti americani. Situazione complessa..». L’auto sfreccia via.

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