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Tocca ai progressisti lavorare per la pace

2 mesi fa 2
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Caro direttore,

il suo ultimo editoriale e le riflessioni di Massimo Cacciari sul dilagare di guerre e caos in cui è immersa l’Europa chiamano in causa la politica. Più le fiamme divampano, più la sua voce appare flebile. È una critica rivolta anche al mondo progressista, con un invito al PD a fare chiarezza. Lo ritengo necessario, per la portata degli eventi cui assistiamo in queste ore, e ancor più a fronte alle contraddizioni della destra al Governo. C’è una prospettiva, di fronte a noi, più o meno esplicitamente o volontariamente perseguita: la guerra grande. Scongiurarla dovrebbe essere la priorità di tutti, e invece fatichiamo a metterla a fuoco. Come altre volte nella storia, il Medio Oriente apre gli squarci più dolenti sul guasto mondo. Il pogrom del 7 ottobre, l’apocalisse a Gaza, l’allargamento del conflitto al Libano, i missili di Teheran, il rifiuto di Netanyahu di siglare tregue e fermare la guerra, le violazioni sistematiche della legalità internazionale e della sovranità territoriale: una sequela di azioni e reazioni senza misura, senza possibilità di controllo. Vanno tutte condannate, senza le omissioni che il Governo Meloni riserva alle responsabilità del Governo israeliano.

Il rischio maggiore è la saldatura tra gli scenari di guerra, con l’Iran alleato di Putin. E Netanyahu, che chiama allo scontro di civiltà, cerca di imporre un “nuovo ordine”, come ha chiamato l’operazione in Libano. È un nuovo ordine in cui vi è totale indifferenza per le vittime civili e un dichiarato disprezzo per il diritto internazionale e le istituzioni multilaterali. Un nuovo ordine i cui equilibri sono determinati dalla forza, in cui non resta spazio per la politica e, naturalmente, non v’è spazio per uno Stato di Palestina. È lo sciagurato compimento di una rimozione della politica che va avanti da decenni. Ma senza politica – perché è politica l’unica soluzione possibile per il Medio Oriente – non ci sarà nemmeno sicurezza. Per sconfiggere il terrore bisogna sradicarlo dalle menti e dai cuori dei disperati, offrendo una via d’uscita dalla spirale della vendetta smisurata, dell’orrore che nutre l’orrore. Il balbettio dell’Europa sul Medio Oriente, l’ignavia di un’Italia che si astiene all’ONU sui diritti della Palestina, hanno minato la nostra credibilità agli occhi del mondo. È in gioco la stessa credibilità del sostegno all’Ucraina, perché se invochiamo il diritto internazionale, il rispetto della sovranità territoriale, dei pronunciamenti degli organi giurisdizionali internazionali, tutto questo deve valere sempre, ovunque. Il 24 febbraio 2022 ha segnato il culmine della rimozione della politica: con la criminale invasione russa dell’Ucraina è crollata l’illusione di poter affidare le relazioni internazionali solo agli interessi economici. La politica non si può sostituire coi McDonald’s, le ideologie hanno un peso nella storia – specie le più nefaste, come il nazionalismo. L’Europa ha reagito offrendo aiuti umanitari, economici e militari all’Ucraina. Rivendichiamo quella scelta, se non l’avessimo fatto oggi non avremmo avuto pace, ma resa alla sopraffazione e alla violenza di chi punta a minare a fondo un ordine internazionale basato sulle regole, già fortemente screditato dalle contraddizioni accumulate, dall’Afghanistan alla Turchia.

Quella scelta non è incrinata dalla decisione di non rimuovere le restrizioni all’utilizzo delle armi inviate dall’Italia in territorio russo. Su questa si è concentrata la discussione delle ultime settimane, anche per i distinguo nel PD. Vi è stata una certa isteria nel dibattito italiano: la nostra cautela è la stessa dell’amministrazione USA. Lo ricordo non perché le nostre posizioni debbano necessariamente coincidere con quelle americane, ma perché la sensazione di inevitabilità di una guerra grande sembra pervadere soprattutto le deboli leadership europee: le stesse che sono state incapaci di riformare il Patto di stabilità e crescita per renderlo all’altezza delle sfide del nostro tempo e poi parlano di “economia di guerra”.

L’Europa “progetto di pace”, di fronte al protrarsi della guerra in Ucraina e in Medio Oriente, rischia di smarrire se stessa. In questi giorni, si guarda meno all’Ucraina, martoriata da due anni e mezzo. L’offensiva ucraina a Kursk, di cui qui non si discute la legittimità, apre due scenari alternativi: una guerra che può protrarsi senza fine e senza vincitori sul campo o l’apertura di un negoziato prima che sul campo cada l’ultimo fucile. La politica non si può definire dai termini di utilizzo di un dispositivo militare (se fosse così, lasciamola ai generali. . .) , ma ha il dovere di leggere la realtà e scegliere la strada da intraprendere. Di negoziato parlano tutti, ne parla lo stesso Zelensky: non l’Europa, dove solo grazie all’impegno del PD il Parlamento europeo si è espresso sulla necessità di una via diplomatica. Come se il rifiuto di Putin di desistere dal suo proposito criminale fosse una ragione per rinunciare e non invece la ragione per insistere, e così magari indebolirlo o isolarlo agli occhi del mondo. A quel negoziato, con le ragioni della pace, dovremmo portare noi quelle della giustizia – e cioè dell’aggredito, della sovranità territoriale, del diritto internazionale – perché questo è il cuore dell’Europa.

L’Europa non può assistere inerte all’orrore quotidiano che sconvolge le nostre opinioni pubbliche. Non possiamo attendere passivamente le pur cruciali elezioni americane. Altrimenti, qualcuno si chiederà: a che serve l’Europa? Anche l’Italia può fare la sua parte. Lo ha fatto altre volte nella storia, penso proprio al Libano. Tutti i nostri governi hanno sempre cercato un protagonismo diplomatico. Draghi nel maggio del 2022 presentò all’Onu un piano di pace per l’Ucraina. Non decollò, ma fu una mossa. Giorgia Meloni, malgrado le pose internazionali, sul Medio Oriente era sparita fino al G7 dell’altro ieri e sull’Ucraina non fa un passo, forse a causa delle forti ambiguità della sua maggioranza, dove albergano i veri filo putiniani che dicono pace e suona come una bestemmia.

Allora spetta a noi, democratici, progressisti, pronunciare con più forza e più urgenza la parola pace, per il Medio Oriente e per l’Ucraina. Anche per non lasciarla a chi alimenta altro odio nelle piazze, o l’ha piegata a narrazioni ambigue sulle cause della guerra imperialista di Putin. Con l’avanzata delle destre estreme in Germania e in Austria è suonata la campana. Il nazionalismo porta alla guerra, ma la guerra porta al nazionalismo, con le sue torsioni autoritarie. Le destre si possono ancora arginare e battere. Ma senza un pensiero progressista e democratico su un possibile nuovo ordine, in un mondo segnato da crescente protezionismo economico, crisi del multilateralismo, guerre a ogni confine, saremo sempre “controvento”.

*Deputato PD

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