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TORINO. «Quando mia figlia, quel pomeriggio, non è tornata a casa dei nonni sono andata subito in commissariato. Ero molto preoccupata perché da una settimana, almeno, la vedevo strana. Si allontanava da casa senza permesso e senza dire ai nonni dove stesse andando. E, soprattutto, senza dire chi stava frequentando. Ho scoperto sul suo cellulare messaggi e chiamate da numeri sconosciuti. Erano messaggi espliciti, che alludevano a rapporti sessuali. Ho avuto paura. Ho consegnato ai poliziotti il telefonino perché scoprissero la verità. Non l’ho mai più ridato a mia figlia». La storia di una bambina violentata è anche la storia di una madre che soffre in maniera devastante. Di una donna che vive di riflesso una pena. E che, come se non bastasse quel dolore, come spesso avviene in casi del genere, viene giudicata, interrogata, analizzata nei suoi comportamenti come se fosse in parte causa di un inferno mai voluto.
Il coraggio della madre
La storia della madre della dodicenne aggredita a Porta Nuova è la storia di una donna coraggiosa. Che sostiene la figlia. Non la giudica. E che fa l’unica cosa utile che una mamma possa fare: consegnare alla polizia ogni elemento affinché possa indagare. Oggi, grazie al gesto di questa madre, le indagini partite dal presunto stupro di Porta Nuova si allargano. Forse ci sono altri adulti che si sono approfittati di una bambina.
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È un pomeriggio afoso d’estate. Le vacanze sono lontane. La mamma della ragazzina lavora. Come ogni pomeriggio, affida alle cure dei nonni la sua bambina. Ma quando lei sparisce, la donna non esita. Va di persona dalla polizia. «Mi sono insospettita e ho avuto paura - ha raccontato agli agenti della Polfer dopo l’arresto del presunto aggressore della figlia - perché nel cellulare della mia bambina c’erano molti messaggi che alludevano al sesso. Ai poliziotti ho fatto vedere, in particolare, i messaggi e le telefonate che continuavano ad arrivare da un certo uomo. Ho fatto finta di essere mia figlia e davanti a loro ho risposto a quello sconosciuto. Lui, pensando che io fossi mia figlia, mi ha invitata a Porta Nuova». Non era l’aggressore poi fermato, quell’uomo che chiedeva un incontro a una dodicenne. Ma un altro. Uno dei tanti che hanno cercato di approfittarsi di una ragazzina adolescente, fragile e vulnerabile come si è a quell’età.
«C’era anche qualcos’altro che mi turbava - ha ricordato la donna parlando con gli agenti - un episodio che aveva notato mio marito. Una volta, seguendo nostra figlia, l’aveva vista con un adulto, fuori da un centro commerciale. E lui la stava approcciando. Da quel momento avevo deciso di ritirare per sempre il cellulare a mia figlia». Non era la prima volta che questa mamma, con determinazione, aveva protetto la sua bambina dai rischi dei social. Come ha detto in audizione protetta la dodicenne, c’era stato anche un altro fatto inquietante: «Una volta mamma aveva trovato dei messaggi che mi aveva mandato un conoscente su Instagram. Mamma gli aveva scritto su WhatsApp, dicendogli che se non avesse smesso lo avrebbe denunciato subito». Ma i social, le app di incontri, le video chat, sono luoghi virtuali infiniti. Pericolosi. E la dodicenne, fino al giorno della violenza sessuale, aveva ricevuto inviti e proposte oscene da più persone adulte. Dopo avere subito la violenza, la bambina è rimasta traumatizzata. Ha raccontato tutto dopo tre settimane.
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L’intervento della Polfer
«Sono contenta che mia figlia sia stata creduta», ha detto la mamma alla polizia. «Per la prima volta si è aperta. Ha parlato con un assistente sociale. Ha trovato il coraggio. Ha detto che il rapporto era forzato. Che lei avrebbe voluto gridare ma che non ci era riuscita. Ora ce l’ha fatta. Ricordo quel giorno. Come al solito l’avevo lasciata da mia madre. Lei è uscita senza permesso. Lo faceva da un po’».
Il ventenne è stato arrestato dalla Polfer pochi minuti dopo il fatto, fuori dal bagno. Ha detto di non avere forzato nessuno. Ma la gip, nel confermare per lui il carcere, ha scritto che sarebbe «pericoloso», che si sarebbe approfittato di una «minorenne vulnerabile, sia per l’età che per l’evidente immaturità emotiva e sentimentale oltre che sessuale». Come ha detto il perito psichiatra: «Parliamo di immaturità personologica ma anche giuridica, perché ha meno di 14 anni. Lei è stata sollecitata. Non ha retto alla pressione dell’altro. La partecipazione a esperienze erotizzate pregresse non ha nulla a che fare con il fatto specifico».