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Trump: «È la fine del Green Deal. Dio mi ha salvato per fare grande il Paese. Inizia l'età dell'oro». Subito le deportazioni e dazi

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Sguardo impassibile. Di ghiaccio. Donald Trump giura come 47esimo presidente degli Stati Uniti alle 12,01. «So help me God». Mano sulla Bibbia. La Rotonda di Capitol Hill si alza in piedi. È tornato. Ma questa volta è tutto diverso. «Dio mi ha salvato per rendere di nuovo grande l’America». Una missione messianica. È convinto di essere stato salvato dai proiettili di Butler non per un caso. «L’età dell’oro inizia ora». L’America ascolta col fiato sospeso l’uomo che per quattro anni avrà in mano i destini del mondo. E promette vendetta, rivalsa. 
«Il viaggio per reclamare la nostra Repubblica non è stato facile, questo posso dirvelo», sospira nel cuore del Capitol. «Coloro che desiderano bloccare la nostra causa hanno cercato di togliermi la libertà e, in realtà, di togliermi la vita». Un discorso che guarda al passato. Ma per poco. 

Trump, come cambia il mondo ora? La guerra, l'economia, i migranti e quel segnale alla Cina su Panama

GLI ANNUNCI

The Donald si abbatte e con furia contro chi lo ha rappresentato ed è in quella stanza al suo fianco. Il presidente uscente Joe Biden e Kamala Harris, la grande rivale uscita travolta dal voto del 5 novembre, ascoltano immobili, di tanto in tanto appoggiano una mano sulla fronte sconsolati, mentre Trump annuncia che farà a pezzi l’agenda degli ultimi quattro anni nelle prime ventiquattro ore, firmando una sfilza di ordini esecutivi. Si parte dall’immigrazione. «Dichiarerò un’emergenza nazionale al nostro confine meridionale. Tutti gli ingressi illegali saranno immediatamente bloccati e inizieremo il processo di rimpatrio per milioni e milioni di immigrati clandestini criminali verso i luoghi da cui sono venuti. Ripristineremo la mia politica del “rimanere in Messico”». E ancora: «Dichiareremo i Cartelli della droga come organizzazioni terroristiche straniere, spedirò l’esercito per combatterle». Poi è il turno dell’ambiente. Tabula rasa dei piani progettati finora. «Dichiarerò un’emergenza energetica». Pausa. «Trivelleremo, baby, trivelleremo», assicura Trump tra gli occhi attoniti dei presenti. Eccolo, lo slogan elettorale che si fa ora realtà e apre l’era del petrolio, delle trivellazioni e mette in un cestino gli accordi per tutelare l’ambiente. «Oggi metteremo fine al Green New Deal e revocheremo l’obbligo delle auto elettriche, salveremo la nostra industria automobilistica mantenendo il mio sacro impegno con i lavoratori del settore», assicura Trump. Infine i tamburi della guerra commerciale che tornano a rullare. «Invece che tassare i cittadini, imporremo dazi ai Paesi stranieri per arricchire il nostro». Una rivoluzione. Chissà cosa ne pensa Ursula von der Leyen, che da Bruxelles si affretta a fare gli auguri al nuovo imperatore della Casa Bianca. È un fiume in piena Trump. Più comizio che discorso istituzionale. E pensare che pochi minuti prima la senatrice Amy Klobuchar aveva introdotto il presidente eletto sul palco con un inno alla «riconciliazione nazionale» fra gli applausi dell’intera platea, Parole al vento, disintegrate dal manifesto Trump. «Da oggi in poi, il nostro Paese prospererà e sarà di nuovo rispettato in tutto il mondo. Tutte le nazioni ci invidieranno e non ci lasceremo più sfruttare», riprende il tycoon tornato nello Studio Ovale. «Il declino è finito». Applaudono solo i suoi. 

I FEDELISSIMI

Il team della nuova amministrazione schierato alle sue spalle. C’è Elon Musk, che ingrazia con un assist, «andremo su Marte!» e a cui affiderà il dipartimento per l’efficienza pubblica. Con lui il segretario di Stato Marco Rubio, Robert Kennedy, segretario alla Sanità in guerra contro Big pharma. La moglie Melania attende un bacio, reso impossibile da un cappello troppo ingombrante, forse. E poi i dignitari stranieri. Giorgia Meloni e l’argentino Javier Milei conversano fitto sotto la statua del presidente Grant. A una manciata di metri gli ex presidenti: George Bush e la moglie Laura, Barack Obama che arriva nella rotunda con passo fiero, da solo: Michelle si è rifiutata di omaggiare il rivale tornato in sella. Nelle retrovie, in grandi ambasce, quella Silicon Valley che fino a un anno fa pregava a mani giunte perché la Casa Bianca restasse in mano democtatiche. Sembra passata un’era geologica, a guardarli applaudire in estasi Trump, e prima ancora il vicepresidente Jd Vance accompagnato dalla moglie per giurare alle 11. 57 del mattino. Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Sundar Pichai, la fila si perde a vista d’occhio. Sono seicento i fortunati che hanno staccato un biglietto per la rotonda. 

GLI STRAPPI

Trump salta i convenevoli. Annuncia di voler riscrivere da zero l’agenda americana. E manda subito di traverso al suo predecessore il tè che hanno preso solo un’ora prima insieme alla Casa Bianca come da tradizione, in un clima apparentemente disteso. «Firmerò un ordine esecutivo per fermare ogni censura di governo e restaurare la libertà di parola». Applausi a iosa dai repubblicani. «La nostra sovranità sarà reclamata, la nostra sicurezza sarà restaurata, la giustizia di nuovo bilanciata» riprende il numero 47. Per poi affondare il colpo contro quella giustizia che ha provato a intralciare la sua strada di ritorno per Pennsylvania Avenue, il giudice che gli farà varcare la soglia dello Studio Ovale come primo presidente condannato della storia. «Sicurezza, giustizia e sovranità torneranno nelle nostre mani». Di nuovo la vendetta che incombe. «Il maligno, violento e ingiusto uso del Dipartimento della giustizia come un’arma politica finirà, la nostra principale priorità sarà di creare una nazione orgogliosa, prospera e libera. Sotto la mia guida, ripristineremo una giustizia giusta, equa e imparziale». 

IL MANDATO DIVINO

Il finale è un crescendo di retorica, torna il linguaggio messianico di un presidente convinto di aver vinto su mandato divino. «Non saremo conquistati. Non ci faremo intimidire – tuona Trump – Non ci lasceremo abbattere e non falliremo. Da oggi gli Stati Uniti d’America saranno una nazione libera, sovrana e indipendente. Resisteremo con coraggio, vivremo con orgoglio. Sogneremo con coraggio e nulla ci ostacolerà perché siamo americani, il futuro è nostro e la nostra età dell’oro è appena iniziata. Un establishment corrotto ha estratto ricchezza dai nostri cittadini». Il presidente se ne va fra gli applausi di una platea scossa, ancora attonita da quello che ha sentito. Si consegna al rigido protocollo dell’Inauguration. Il pranzo al Congresso. Poi il rally con i sostenitori nella Capital One Arena. In mattinata, prima di giurare, la messa nella chiesa evangelica di St Johns al fianco della famiglia, i figli Donald Jr, Ivanka, Eric, Tiffany e Barron. Fuori una Washington gelida, spazzata da un vento artico. Un uomo protesta in solitaria, issa cartelli con una selezione delle proposte shock targate Trump. La deportazione di massa dei migranti. L’invasione della Groenlandia. Nessuno gli dà retta. È tardi, ora. È il giorno di Donald Trump. Una nuova era che solo metà America crede dorata.

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