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Trump, perché la tregua a Gaza è un suo successo: il timing, l'uomo chiave Witkoff, le pressioni su Netanyahu e la minacce ad Hamas

2 ore fa 1
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C'è un uomo chiave dietro all'accordo di tregua a Gaza: si chiama Steve Witkoff, inviato di Trump per il Medio Oriente. Il suo viaggio ha accelerato i tempi che hanno portato al cessate il fuoco e consegnato in mano a The Donald la prima medaglia della sua amministrazione 2.0, ancor prima di rientrare da inquilino della Casa Bianca.

Pressioni e minacce

Le forti pressioni del futuro presidente americano su Benjamin Netanyahu hanno spiazzato il primo ministro israeliano che non si aspettava di trovarsi di fronte un Trump così deciso a chiudere le ostilità nella Striscia. Ma il tycoon ha anche minacciato con forza Hamas, promettendo di scatenare l'inferno se non avessero rilasciato gli ostaggi israeliani. Una prova di forza che ha trovato nel timing l'alleato decisivo. Gaza (e Hamas) ormai stremati, Israele e i suoi cittadini stanchi del conflitto: entrambe le parti avevano quindi più da guadagnare che da perdere dalla fine della guerra. 

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L'uomo chiave Steve Witkoff

Un incontro "teso" nel fine settimana tra il primo ministro Benjamin Netanyahu e l'inviato entrante per il Medio Oriente Steve Witkoff ha portato a una svolta nei negoziati sugli ostaggi, con il principale collaboratore del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump che ha fatto di più per influenzare il premier in un singolo incontro di quanto non abbia fatto il presidente uscente Joe Biden in tutto l'anno. Almeno questo hanno fatto filtrare due funzionari arabi al Times of Israel. Witkoff si è recato a Doha la scorsa settimana per prendere parte alle trattative per gli ostaggi, mentre i mediatori cercavano di raggiungere un accordo prima dell'insediamento di Trump del 20 gennaio. Sabato, Witkoff è volato in Israele per un incontro con Netanyahu presso l'ufficio del premier a Gerusalemme. Durante l'incontro, Witkoff ha esortato Netanyahu ad accettare compromessi chiave necessari per un accordo. Lunedì sera, due giorni dopo l'incontro di Gerusalemme, i team negoziali israeliani e di Hamas hanno notificato ai mediatori di aver accettato in linea di principio la proposta di accordo sugli ostaggi. Da allora le parti hanno lavorato per finalizzare i dettagli riguardanti l'attuazione dell'accordo. Una delle questioni principali che deve ancora essere definita sono i parametri esatti del ritiro dell'Idf dalla Striscia di Gaza, con i mediatori ancora in attesa di una mappa da Israele che lo definisca. Il tycoon ha comunque già dettato la linea muscolare sul Medio Oriente: «Con questo accordo in atto, il mio team per la sicurezza nazionale, attraverso gli sforzi dell'inviato speciale in Medio Oriente Steve Witkoff, continuerà a lavorare a stretto contatto con Israele e i nostri alleati per garantire che Gaza non diventi mai più un rifugio sicuro per i terroristi. Continueremo a promuovere la pace attraverso la forza in tutta la regione, mentre sfruttiamo lo slancio di questo cessate il fuoco per espandere ulteriormente gli storici accordi di Abramo». Del resto appare innegabile che la spinta forse decisiva all'accordo sia frutto delle pressioni di The Donald sul premier israeliano Benyamin Netanyahu e i suoi ripetuti ultimatum ad Hamas, con la minaccia di scatenare «l'inferno» in Medio Oriente se non avesse liberato gli ostaggi prima del suo insediamento. Ma dietro c'è un lungo, paziente e infaticabile lavoro diplomatico dell'amministrazione di Biden, che ha messo a dura prova i rapporti tra Usa e Israele e che i democratici hanno pagato in termini elettorali, con proteste di manifestanti pro Gaza che inseguono anche oggi i loro leader accusandoli di «genocidio». 

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Il timing

L'amministrazione Biden aveva fatto pressioni su Israele affinché conducesse una simile pianificazione in anticipo, sostenendo che non farlo o non promuovere un'alternativa praticabile ad Hamas avrebbe rischiato di affossare i guadagni militari.

Netanyahu ha ampiamente resistito, ritenendo inutile questo tipo di pianificazione finché Hamas fosse ancora operativo e respingendo anche la preferenza degli Stati Uniti per l'Autorità Nazionale Palestinese con sede in Cisgiordania per sostituire il gruppo terroristico a Gaza. L'influenza di Biden su Israele è stata poi indebolita dal fatto che Netanyahu sapeva di poter aspettare la possibilità di un volto più amichevole alla Casa Bianca. Tuttavia al 46° presidente degli Stati Uniti è forse mancato anche il coraggio di usare gli strumenti che aveva a disposizione, sotto forma di concessione o sospensione di forniture di armi a Israele. Usare la minaccia di un embargo sulle armi avrebbe richiesto sicuramente grande coraggio politico da parte di Biden. Non solo Trump avrebbe utilizzato tale decisione per fini elettorali, ma la maggior parte degli israeliani avrebbe reagito male. La tempistica ha poi fatto il resto. Biden in uscita e con meno poterem, Trump in entrata e pronto a dettare la sua linea. Il tutto si è sposato con il dilemma di Netanyahu: continuare la guerra e perdere altre vite di ostaggi o fermarsi? Delle 251 persone rapite da Hamas il 7 ottobre 2023 circa 98 sono ancora a Gaza, e si pensa che circa la metà di quel numero sia ancora viva. Solo un ritiro israeliano completo sarebbe stato in grado di farli rilasciare tutti. Anche il fallimento della strategia esclusivamente militare di Israele per Gaza è diventato indiscutibile nel tempo. La previsione secondo cui Hamas sarebbe stata in grado di trasformare la guerra in un gioco logorante , anche se enormemente degradata come forza combattente, si è rivelata corretta. L'Israel Defense Force è stata respinta nella parte settentrionale della Striscia che aveva ripulito all'inizio della guerra, mentre Hamas passava dallo scontro diretto alla preparazione di trappole esplosive e imboscate. Nei cinque mesi trascorsi dal rifiuto di Netanyahu ad agosto di un cessate il fuoco 151 dei suoi soldati hanno perso la vita. 

La vittoria rivendicata

«Abbiamo un accordo per gli ostaggi in Medio Oriente. Saranno rilasciati a breve. Grazie!». Con questo post a caratteri cubitali su Truth poco dopo mezzogiorno in America, le 18 in Italia, Donald Trump si è precipitato ad annunciare l'intesa su Gaza dopo le indiscrezioni diffuse qualche minuto prima dai media internazionali. L'obiettivo era prendersene subito il merito, benché non si sia ancora insediato alla Casa Bianca, bruciando tutti sul tempo: da Joe Biden, che ha inseguito questo risultato per oltre un anno e che si vede quasi strappare il trofeo nel giorno del discorso d'addio alla nazione, al premier del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, pronto per una conferenza stampa a Doha dopo una dichiarazione congiunta dei tre Paesi negoziatori (Usa-Qatar-Egitto). È stato lo stesso Trump a sostenere sulla sua piattaforma social che «questo epico accordo di cessate il fuoco avrebbe potuto realizzarsi solo in seguito alla nostra storica vittoria di novembre, poiché ha segnalato al mondo intero che la mia amministrazione avrebbe cercato la pace e negoziato accordi per garantire la sicurezza di tutti gli americani e dei nostri alleati». «Abbiamo ottenuto così tanto senza nemmeno essere alla Casa Bianca. Immaginate tutte le cose meravigliose che accadranno quando tornerò alla Casa Bianca e la mia amministrazione sarà pienamente confermata, così da poter garantire altre vittorie per gli Usa», si è vantato il tycoon, accreditandosi come l'artefice di questo successo diplomatico. 

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