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Tuttolibri, il primo a dire dei libri tutto quello che va detto

2 giorni fa 2
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Sabato 1° novembre 1975 nasceva Tuttolibri, il primo settimanale italiano totalmente dedicato all’editoria e ai suoi protagonisti: non soltanto narratori e poeti, ma anche traduttori - per la prima volta citati metodicamente - , editori, attori e registi di lavori teatrali e di film tratti da romanzi. Forniva un servizio ai librai, rivoluzionava il modo di parlare di libri, offrendo per la prima volta una dettagliata classifica delle vendite curata dalla Demoskopea. Figlio della Stampa, si poteva acquistare in edicola da solo. Negli Anni 80, inserito nel giornale, avrebbe aperto la via ai supplementi culturali dei quotidiani.

L’idea fu del direttore Arrigo Levi e dell’amministratore delegato Giovanni Giovannini, che reciprocamente se ne attribuivano il merito. Giovannini, inviato della Stampa poi vicedirettore di Alberto Ronchey, era passato dalla redazione all’amministrazione. Gianni Agnelli ne aveva fatto il suo consigliere per entrare nel campo delle case editrici e dei giornali con due obiettivi: la creazione del Gruppo Fabbri-Bompiani-Sonzogno-Etas libri e il parziale acquisto del Corriere della Sera, in aiuto di Giulia Maria Crespi contro l’assalto di Eugenio Cefis e della Montedison alla testata di Via Solferino 28. Ciò fece supporre che Tuttolibri rientrasse nella strategia dell’Avvocato, il quale non perdeva la presentazione di un’opera di Umberto Eco o di Alberto Moravia a Torino e vi trascinava dignitari della Fiat, che emulavano il suo vezzo di portare l’orologio allacciato sopra il polsino della camicia. Ma fu una pura coincidenza: il Gruppo non avrebbe mai goduto del minimo privilegio.

Più attenzione ebbero gli editori cresciuti nel Sessantotto e dintorni. In un’epoca in cui La Stampa e il Corriere erano parsimoniosi di spazi con la Feltrinelli in quanto esplicitamente di sinistra, Tuttolibri si apriva alla giovanile vitalità di editori quali Savelli, Marsilio, Mazzotta, Guaraldi, Bertani. Segnalando allo stesso tempo quanto capitava a destra in casa Rusconi o all’estrema destra dalla quale Giuseppe Ciarrapico invitava a benevoli ripassi revisionisti della storia del fascismo. Tutte le novità sfilavano alla pari sull’elenco degli appena usciti, accompagnate da una sintesi dei contenuti, senza giudizi.

Quella bibliografia - libera completa ricognizione di quanto apparso sul mercato editoriale la settimana precedente - fu apprezzata dai lettori e soprattutto dai 15 mila librai e cartolibrai, per i quali divenne un prezioso strumento di lavoro. Altre due robuste sezioni del timone di Tuttolibri erano le recensioni e le schede. Le recensioni non dovevano essere meno numerose, né meno lunghe, né meno autorevoli delle 12 o 14 offerte dalle pagine dei libri settimanali del Corriere, della Stampa (a rischio di fare concorrenza al giornale-padre) e di Paese Sera, quotidiano romano allora diretto da Arrigo Benedetti. Le schede potevano arrivare a una quarantina, brevi una spanna, tuttavia esaurienti, così da poter presentare ogni settimana compiutamente oltre 50 opere. Le altre sezioni erano le interviste, i dibattiti, i servizi sulla vita dell’universo editoriale, con un’inedita attenzione a chi lasciava e a chi conquistava le tolde di comando. Asciutto lo stile di scrittura: banditi personalismi e rigorosamente l’«io» da articoli, interviste, recensioni; banditi i reciproci favori tra scrittori; bandite le stroncature (meglio ignorare prodotti che non lo meritano, meglio non sprecare spazio).

All’inizio la testata era I libri, ma non piaceva a nessuno. A poche settimane dall’uscita del settimanale, interruppi una riunione che si avvitava su quel problema nonostante le urgenze: «Se vogliamo dire dei libri tutto quello che va detto e che altri non dicono, chiamiamolo Tuttolibri». Presero a chiamarlo così i tipografi, i commerciali, i centralinisti, i fattorini, le case editrici , gli aspiranti collaboratori. Non ci pensammo più e ci concentrammo sulla formula, essenziale svolgimento di quel nome, di quel tema.

Eravamo tre giovani redattori, sorpresi da un imprevedibile destino. Lorenzo Mondo, curatore delle opere di Fenoglio e di Pavese, redattore delle pagine letterarie della Stampa, aveva declinato l’incarico che per primo gli era stato offerto: non condivideva il «taglio giornalistico» del piano. Io venivo da Milano, dalla scuola editoriale e giornalistica di Arnoldo Mondadori, da cinque anni appartenevo alla redazione politica della Stampa e spesso seguivo la Terza pagina. Levi chiamò un maturo collaboratore, Mario Bonini, direttore delle piccole enciclopedie di Garzanti. Grande umanità, vasta cultura, ma pendolare Milano-Torino, non avvezzo ai riti e ai ritmi della macchina giornale e presto alle prese con la salute. Incaricato di assisterlo, mi ritrovai a sostituirlo quando ormai era tardi. Per rispettare i tempi chiesi al direttore tre redattori. Me ne concesse solo due: «Il terzo tra un anno, se tutto andrà bene».

Dalla cronaca della Stampa arruolai Mario Varca, studi a Parigi, visione internazionale; dalla cronaca di Stampa Sera Vittorio Messori, che un anno dopo sarebbe diventato famoso autore di Ipotesi su Gesù edito dalla Sei e tradotto in tante lingue. Chiuso bene il primo anno di Tuttolibri sarebbe arrivato Osvaldo Guerrieri. Fine critico teatrale, avrebbe completato bene una redazione coesa, appassionata, infaticabile, affiancata da cinque moschettieri: Carlo Casalegno, Furio Colombo, Giovanni Arpino, Mario Bonini, Giovanni Raboni.

Arrigo Levi controllava e firmava le bozze del settimanale avviandolo alle rotative. Ma il punto di riferimento d’ogni giorno per ogni dubbio, ogni scelta era Carlo Casalegno, il vicedirettore della Stampa che ne guidava la linea culturale e politica. Nel 1977 sarà assassinato dalle Brigate Rosse, senza di lui Tuttolibri non sarebbe nato, comunque non sarebbe nato così. Furio Colombo era il nostro radar avanzato su New York, sull’America della letteratura, dell’arte, del cinema, del teatro, della musica; sulla neoavanguardia italiana del Gruppo ’63 del quale era stato un fondatore; sulle figure e controfigure della Roma di Alberto Moravia, Elsa Morante, Tullio Zevi, Per Paolo Pasolini. Il pomeriggio di sabato 1° novembre ’75 in cui Tuttolibri esordì nelle edicole il poeta regista scrittore accolse Colombo a casa sua per l’intervista destinata al terzo numero del settimanale. Nella notte fu ucciso sul Lido di Ostia. Pubblicammo quel dialogo la settimana dopo con il titolo suggerito da Pier Paolo: «Siamo tutti in pericolo». In due giorni Tuttolibri vendette 177 mila copie.

Giovanni Arpino, assunto nel ’68 da Alberto Ronchey alla redazione sportiva della Stampa, una partita la settimana poi il nuoto, l’atletica internazionale, persino la pallapugno piemontese e ligure, sovente scriveva di letteratura in Terza pagina. La nascita di Tuttolibri gli fornì un imprevisto campo giochi al quale si affacciava tutti i giorni per informazioni, scambi di idee, proposte. Mario Bonini era l’esperienza editoriale, il dialogo con gli uffici stampa, l’accorta interpretazione dei comunicati. Un amico poeta, suo compagno di lavoro in casa editrice, di passaggio a Torino, indugiò in redazione. Aveva capelli e barba candidi e lievi, ma gli occhi giovani brillavano ascoltando il nostro progetto. Così Giovanni Raboni avviò con noi il mestiere di critico letterario. Sarebbe stato una carta vincente. I cinque moschettieri non bastavano: Massimo Mila era il nostro riferimento per la musica, Tullio Regge per la scienza, Filippo Barbano per la sociologia di cui era pioniere, Gianni Vattimo (non ancora collaboratore della Stampa) per la filosofia.

All’assiduo confronto con quei nove saggi si aggiungeva l’attenzione di quattro colleghi-maestri: Giovanni Spadolini, collaboratore della Stampa dal 1972, appena perduta la direzione del Corriere; Enzo Biagi da poco passato al Corriere interrompendo con la Stampa il suo più lungo legame professionale, non le amicizie consolidate; Indro Montanelli che nel 1973, licenziato dal Corriere, aveva ottenuto “asilo politico” da noi per i nove mesi necessari alla gestazione del suo Giornale nuovo; Alberto Cavallari, professore alla Sorbona e nostro corrispondente da Parigi, destinato a risollevare il Corriere dalla contaminazione della loggia P2. E al dialogo con i colleghi-maestri se ne aggiungeva uno, che mi era riservato, con Giulio De Benedetti, leggendario direttore della Stampa dal 1948 al 1968. Ripagava le mie risposte alle sue minuziose domande sui progressi di Tuttolibri raccontandomi come a Roma suo genero, Eugenio Scalfari, stesse mettendo a fuoco un modello di nuovo quotidiano: l’anno dopo il nostro settimanale sarebbe nata la Repubblica.

Tuttolibri non aveva l’importanza del Giornale di Montanelli e della Repubblica di Scalfari, pur vendendo all’inizio più copie di loro. Ma la nascita ravvicinata delle tre testate, lo spazio che anche i due nuovi quotidiani davano alla cultura, i nomi dei giornalisti protagonisti o sostenitori delle tre avventure dicono quanto la nostra informazione sapesse farsi specchio di una certa idea dell’Italia o promuoverla, facendosene progetto. Tuttolibri in particolare voleva essere portavoce del pensiero contemporaneo, osservatorio della creatività letteraria con attenzione alla poesia, alla quale avrebbe dedicato il suo primo convegno.

Forse per questo eravamo oggetto di un continuo pellegrinaggio. Per un patto non scritto, Tuttolibri e La Stampa dovevano avere collaboratori diversi, ma non c’era firma della Terza pagina o delle pagine letterarie che non salisse al secondo piano del palazzo di Via Marenco 32 per vedere al lavoro “quei tre ragazzi” che accanto alle interviste con Moravia, Montale, Giulio Einaudi davano pari dignità a servizi su Padre padrone del pastore autodidatta sardo Gavino Ledda o su Porci con le ali, diario tra sesso e politica di Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera.

Curiosi e solidali venivano da noi Primo Levi, Mario Rigoni Stern, Guido Ceronetti, Luigi Firpo, Alessandro Galante Garrone, Gian Luigi Beccaria, Guido Davico Bonino, Non c’era scrittore di passaggio a Torino che non ci portasse di persona il romanzo o il saggio appena sfornato. Tra i tanti, Mario Soldati, Alberto Moravia, Lalla Romano, Italo Calvino, Mario Luzi, Maria Luisa Spaziani, Alberto Bevilacqua, Fulvio Tomizza, Dacia Maraini, Paolo Barbaro, Nuto Revelli, Davide Lajolo, il pittore Italo Cremona e Oddone Camerana, direttore della pubblicità Fiat, ma fine traduttore e scrittore desideroso “di più respirabil aere”, profumo di libri e di quella speciale atmosfera, alla quale contribuivano la matura segretaria Annalisa Gersoni, lettone di Riga, e due giovanissimi aiutanti saltuari destinati a carriere in altre redazioni: la napoletana Paola Di Pace e il torinese Alessandro Rosa.

Tuttolibri si sentiva figlio di Torino, un polo di attrazione culturale come lo erano i “Venerdì letterari” delle sorelle Irma e Regina Antonetto che portavano in città Saul Bellow, Evgenij Evtushenko, Benjamin Spock, premi Nobel, per accompagnarli in giro per l’Italia; come lo erano il Circolo della stampa, la Pro cultura femminile, l’Unione culturale, che si disputavano le presentazioni dei migliori romanzieri. Probabilmente Tuttolibri fu anche l’incubatore dell’idea di un Salone del libro in riva al Po.

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