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Usa, l’accordo solo con Putin

8 ore fa 1
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L’attenzione mediatica è tutta rivolta all’aspettativa, che molti danno per certa, di una pace in Ucraina. La vulgata dice che la diplomazia muscolare del presidente Usa Donald Trump, tra insulti e prevaricazioni al leader ucraino Volodymyr Zelensky e lusinghe e concessioni all’autocrate russo Vladimir Putin, sarebbe in grado di mediare una fine ai tre anni di invasione brutale della Russia all’Ucraina. In realtà, un’intesa tra Kyiv e Mosca non è alle porte, tantomeno mediata da Washington. La conferenza stampa di Trump, Zelensky e il vicepresidente JD Vance alla Casa Bianca ieri l’ha reso ampiamente evidente. Gli accordi concreti sono altri, e riguardano Washington e Mosca. Un accordo tra Stati Uniti e Russia, senza un cessate il fuoco sostenibile in Ucraina, metterebbe a dura prova la coesione politica dell’Unione europea, per cui sarebbe bene prepararsi. Una pace vera tra Russia e Ucraina non è all’orizzonte. Si tratterebbe, semmai, di un accordo di cessate il fuoco, che congelerebbe le linee del fronte, permettendo così alla Russia di occupare «de facto» i territori sotto il suo controllo militare, ossia poco più di un quinto dell’Ucraina; mentre l’80% del Paese rimarrebbe libero, democratico e indipendente. Ed effettivamente un accordo potrebbe arrivare prima o poi. L’Ucraina lo accetterebbe di certo, con garanzie di sicurezza.

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La popolazione è stanca di tre anni in cui civili, città, infrastrutture e, naturalmente, soldati sono stati attaccati costantemente dagli invasori russi. Se la tregua venisse accompagnata da garanzie di sicurezza, ossia dalla continuazione del sostegno occidentale – o, meglio, europeo - in termini economici, militari e politici, gli ucraini sarebbero ben disposti ad accettarla. È pensando a questo scenario che gli europei mettono a punto piani per la difesa e per accelerare l’adesione dell’Ucraina all’Ue. In questo contesto si parla di una forza di «rassicurazione» europea, che - assente la Nato per volere degli Stati Uniti -, sarebbe l’unica garanzia di sicurezza concreta per gli ucraini.

È sempre in questo contesto che si tornerà a discutere dell’utilizzo non solo dei proventi, ma direttamente dei 300 miliardi di dollari di asset russi, per la maggior parte congelati in Europa. È bene che tutto questo si discuta e pianifichi in Europa, ma è possibile che non avvenga, di certo non a breve. È vero che anche Mosca potrebbe avere interesse a deporre temporaneamente le armi. L’esercito russo perde una media di mille uomini al giorno, e benché ce ne dimentichiamo troppo spesso, le sanzioni occidentali hanno inferto un duro colpo all’economia russa, al netto del gonfiamento artificiale del Pil dettato dall’economia di guerra.

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Potrebbe, dunque, essere anche nell’interesse di Putin prendere fiato per un po’. Lo sarebbe, però, solo nel caso in cui, proclamato il cessate il fuoco, fosse soltanto la Russia a riarmarsi e a prepararsi per un nuovo round di guerra. Se, invece, l’Europa dovesse continuare a sostenere l’Ucraina, come sembra intenzionata a fare, è assai probabile che Putin rifiuti un cessate il fuoco, optando per la prosecuzione all’infinito di un negoziato con Trump mirato a sfinire il leader Usa, che, annoiato e indispettito, sposterebbe il suo sguardo disattento altrove. Insomma, gli accordi più probabili sono altri.

C’è quello tra Washington e Kyiv sui minerali critici ucraini, che doveva essere finalizzato ieri, ma poi saltato dopo l’oscena conferenza stampa alla Casa Bianca. Ancor più probabile, e più problematico per l’Europa, è un eventuale accordo tra Washington e Mosca. Già sappiamo della riapertura delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, e dell’annuncio fatto dal Cremlino quanto alla ripresa dei voli diretti. Così come sappiamo che la Russia sta programmando la riapertura dei propri mercati ad aziende occidentali.

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La contropartita che chiederà Mosca sarà la sospensione, se non la rimozione, delle sanzioni Usa, a prescindere da un accordo sull’Ucraina. E benché Trump non abbia dato segnali di apertura in tal senso, è possibile che accetti. Fino ad ora Putin si è dimostrato molto più scaltro del presidente americano. Questo, da un lato, diluirebbe una delle leve essenziali che i Paesi occidentali hanno sulla Russia, riattivando le opportunità di guadagno per il Cremlino e riducendo ancor di più gli incentivi di Putin a metter fine alla guerra. Dall’altro lato, questa evoluzione rischierebbe di aumentare l’opposizione interna in Europa alle sanzioni. Già oggi Paesi come l’Ungheria e la Slovacchia le accettano controvoglia, ma non hanno la forza di opporsi al loro rinnovo ogni sei mesi.

Il sedicesimo pacchetto di sanzioni dell’Ue è stato approvato solo poche settimane fa, ma Budapest ha già avvertito di non volere proseguire con le restrizioni contro gli oligarchi vicini al Cremlino. Se Washington dovesse lasciar cadere le proprie misure contro la Russia, il dissenso interno all’Ue rischierebbe di aumentare, fino a spaccare i 27. È ciò che vuole Putin sulle sanzioni e sulla difesa. E quel che vorrebbe vedere Trump sul commercio o sulla tecnologia. Far fronte a un’Europa unita è molto più scomodo per potenze imperiali come la Russia di Putin e l’America di Trump. Ed è il motivo per cui l’unità rappresenta, invece, un interesse vitale per noi.

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