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Alla mensa dei poveri con uno spazzolino da denti in tasca. «Mangio, poi mi lavo, poi vado in biblioteca per stare al caldo». Da quando è iniziato il crollo? «Dal 2009. Ho avuto una tabaccheria, poi mi hanno pignorato la casa, poi mi hanno sfrattato. Ora dormo in un garage riadattato». L’ultimo lavoro? «All’anagrafe centrale. Io ero quello che si occupava di dare i numeri e gestire le code». L’inflazione cosa comporta? «Niente birra il sabato e la domenica, gli unici due giorni in cui me la concedevo».
Le bollette? «Il gas me l’hanno staccato. Non ho il riscaldamento. Dormo dentro un sacco a pelo, con sopra tre coperte. E va bene così. La luce ancora riesco a pagarla, quella sì, nella casa garage ho il boiler per l’acqua calda e un cucinino elettrico». Battista Reinero, 69 anni, ha in mano la tessera per la mensa del Cottolengo. È mezzogiorno, c’è il sole e si gela nel cuore di Torino. Lui passa il tornello, lo salutano: «Ciao Battista». Quando entra è il numero 197 seduto al tavolo. «È andata così», dice voltandosi indietro. «Ma un sogno ancora ce l’ho».
La mensa dei poveri
Il numero 198 alla mensa dei poveri è un signore che si chiama Luciano. «Torinese, di Barca Bertolla. Ho lavorato in fabbrica per venticinque anni, indotto Fiat. Era una bella storia, fino a quando è durata. Ho avuto due anni di mobilità. Poi ho iniziato a dovermi arrangiare, lavoretti vari». Come si arrangia? «Innanzitutto, vivendo da solo. Sono single, per fortuna. Non avrei mai pensato di venire qui a mangiare, e invece sono ormai dieci anni che chiedo aiuto e non riesco a rialzarmi». Le bollette? «Ho comprata casa mentre facevo l’operaio. Questa è la mia fregatura. Risulto ricco. Il mio Isee è contro di me. Non riesco a ottenere aiuti. Non mi danno il reddito di inclusione». Gli effetti della guerra della Russia contro l’Ucraina lei li vede da qua? «È già tanto se riesco a campare. Va sempre peggio. La prima cosa a cui ho dovuto rinunciare è stato il gas. Dormo vestito con il piumino e il berretto di lana».
Al mercato di Porta Palazzo
Al mercato di Porta Palazzo c’è la calma che segue il Natale. Una signora cammina in fretta, parlando da sola a voce alta: «Via, cuori di pietra! Via! Andate via, in nome di Gesù! Avete il cuore a forma di dollaro». Il sole splende sulla tettoia del Mercato dell’orologio. Da una macelleria esce un uomo con il grembiule sporco di sangue, sta facendo una telefonata: «Cazzo, mi ha lasciato solo! Ti rendi conto? Io domani devo pagare le giornata di lavoro a quelli là. Ma dove li trovo 100 euro?».
La Caritas
Il numero delle persone assistite dalla Caritas è in aumento costante dal 2008, la crisi non è mai finita. Sono quasi 6 milioni gli italiani in condizione di povertà assoluta, a cui si aggiungono e si mischiano 4 milioni di lavoratori poveri. Nei soli centri di ascolto della diocesi di Torino nel 2024 sono state ascoltate 22.933 persone. Dall’altra parte dello sportello ci sono volontari come Mauro Comin, un ex consulente informatico che aveva lavorato anche per l’Onu: «Gli effetti della guerra sono sotto i nostri occhi tutti i giorni. La maggior parte dei nostri assistiti ci chiede aiuto per le bollette. Aumenta il numero dei giovani, persone che potrebbero lavorare ma non trovano un posto. E poi ci sono quelli in difficoltà, anche se un lavoro ce l’hanno eccome. Non riescono a pagare l’affitto, ma ancora sperano di farcela e intanto vorrebbero tenere vive le utenze. Perché se ti tagliano la luce e il gas è finita». Qual è una persona che le è rimasta in testa in questi mesi? «Una signora anziana che vive con la pensione minima. È la proprietaria di un rudere in Sardegna. E per colpa di quella proprietà non può accedere a nessun tipo di assistenza. Lei ci chiede aiuto per la luce e per il gas». Un altro caso? «Una famiglia senegalese, madre, padre e tre figli. I genitori hanno perso il lavoro, tutti sono in grande difficoltà». Ma davvero da qui si vedono la Russia e l’Ucraina? «A occhio nudo. Nelle bollette aumentate e che rischiano di aumentare ancora. Così come nei beni di prima necessità al supermercato».
Le code per il cibo e l’assistenza medica gratuita
A Torino ci sono code per andare dai dentisti volontari, code per l’assistenza medica gratuita fornita nell’ambulatorio del Sermig. Code per mangiare la colazione al mattino dalle suore di via Nizza, perché non ci sarebbe altro modo per avere una tazza di caffelatte caldo. C’è coda, anche, per farsi tagliare i capelli da Piero e Rosi Colomba, che hanno deciso di impiegare così gli anni della pensione: «Il nostro negozio era in via Garessio, vicino alle case della Fiat. Era bello quando c’era tanto lavoro. Ora è tutto cambiato. Veniamo qui dalle suore in via Nizza ogni venerdì mattina, facciamo 15 tagli alla volta».
Il posto dove si può vedere meglio la realtà è il centro “Due Tuniche” alla Caritas di corso Mortara. Oggi è chiuso. Ma non si occupa di vestiti, nemmeno di cibo. Si occupa, esattamente e perlopiù, di bollette. Di utenze che stanno per saltare per morosità. «Lì ti chiedono l’Isee, fanno il calcolo e per quanto possibile cercano di aiutarti, perché quando non riesci più a pagare il gas e la luce è finita, il passo successivo è la strada», dice un signore magro come un reduce di guerra, in coda alla mensa del Cottolengo. Lui è il numero 278. A 300 si chiude. Capienza massima.
L’uscita è due porte più avanti, lungo via Andreis. Ecco Battista Reinero, l’ex tabaccaio finito qui per certe sventure che capitano nella vita. Non ha più il riscaldamento in casa, ma ha ancora un sogno acceso. Quale? «Scrivere un romanzo. Da quando tutto è andato in rovina, non ho fatto altro che andare in biblioteca per scaldarmi e leggere. Salman Rushdie è il mio preferito. E adesso, forse, è venuto il momento di mettermi al lavoro».