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A Catania i 23 sopravvissuti del naufragio: hanno visto morire 60 compagni

10 mesi fa 46
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ROMA.Una preghiera di pochi minuti, ognuno secondo il proprio credo, prima di consegnare alle acque i corpi dei loro compagni. Un rituale di umanità, l’ultimo, per quelle vite che, una dopo l’altra, si stavano spegnendo a bordo, senza cibo né acqua. Alla deriva da giorni. E che avrebbero trovato sepoltura solo in fondo al Mediterraneo.

Lamin (nome di fantasia), 14 anni appena, racconta con la voce rotta l’incubo dei momenti passati su quel barcone maledetto, salvato solo dopo una settimana, dalla nave Ocean Viking. La paura di essere il prossimo, la speranza di un aiuto, lo stordimento del corpo per le ore infinite guardando la morte in faccia. E le tante preghiere recitate come un mantra. «Se solo avessi immaginato tutto quell’orrore non sarei mai partito» ripete con lo sguardo basso e le mani giunte. A tenerlo in vita, dice, è stato solo il pensiero della sorella rimasta in Gambia: «Sognavo di poterla chiamare e dirle che ce l’avevo fatta. Che sono vivo». Una telefonata che riuscirà a fare solo in questi giorni, dopo aver toccato terra a Catania. Uno sbarco nato dalle polemiche dopo che alla nave umanitaria, con a bordo i superstiti del terribile naufragio di tre giorni fa, è stato assegnato il porto di Ancona. Lamin e i suoi compagni hanno toccato terra nella notte di sabato, gli altri 336 migranti soccorsi dal team di Sos Mediterranée dovranno attendere fino a domani l’arrivo nel porto marchigiano.

Dei 23 sopravvissuti un terzo sono minori soli. Tre sono stati ricoverati in ospedale dopo l’arrivo nella città siciliana, gli altri hanno trovato accoglienza in una casa famiglia e in un centro per minorenni. Tutti sono ancora gravemente sotto choc per quello che hanno vissuto. Lamin ha raccontato agli operatori di aver intrapreso la via del mare, dopo aver messo da parte i soldi, cinquecento euro, lavando macchine in Libia. Nel Paese è arrivato dopo un viaggio lunghissimo, deciso dopo la morte di entrambi i genitori. Rimasto solo con la sorella poco più grande, ha pensato che toccava a lui, il maschio della famiglia, la traversata: e così dal Gambia al Mali, passando per Burkina Faso e Niger è riuscito ad arrivare a Tripoli. Sempre gambiani erano altri minori sul barcone. Due fratellini, un maschio e una femmina, hanno tentato la sorte insieme, tenendosi per mano nelle ore più difficili di un viaggio impossibile. Ma la ragazza non ce l’ha fatta, è morta di stenti dopo pochi giorni. Il fratellino, 12 anni, è sopravvissuto nonostante le gravi ustioni sul corpo, dovute a un mix di acqua salata e benzina. E ora riesce a stento a muoversi e a camminare. In tutto le donne a bordo erano quattro. Nessuna è rimasta in vita. Tra loro anche la mamma del più piccolo tra le vittime, un bambino di un anno e mezzo. Il padre, originario del Senegal, ospitato ora nell’hub di Catania, non si dà pace.

I terribili racconti dei sopravvissuti in queste ore hanno anche il valore di testimonianza per chiarire la dinamica di una delle più terribili stragi del Mediterraneo. E capire cosa non abbia funzionato nella catena dei soccorsi. In molti hanno raccontato di una barca bianca e rossa che si sarebbe avvicinata e di elicotteri che volavano costantemente in zona.

«È essenziale capire cosa sia successo dal momento della partenza dell’imbarcazione fino al suo ritrovamento per evitare che una simile tragedia si ripeta», sottolinea Soazic Dupuy, direttrice delle operazioni di Sos Mediterranée. Anche per Filippo Ungaro, portavoce di Unhcr è importante fare luce sul naufragio e «lavorare per rafforzare i soccorsi, migliorando la collaborazione tra tutti i soggetti in mare».

Intanto ieri un’altra nave, la Geo Barents di Medici senza frontiere, ha denunciato di essere stata minacciata dalla Guardia costiera libica durante un’operazione di salvataggio. «Hanno cercato di impedirci di soccorrere un barcone in difficoltà con oltre 150 persone a bordo in acque internazionali. Dopo due ore di negoziazioni, siamo riusciti a portare in salvo le persone, ma alcune famiglie sono rimaste separate per ore con scene di panico» racconta Fulvia Conte, responsabile dei soccorsi a bordo della nave parlando anche di «manovre pericolose» da parte dei libici, «una situazione inaccettabile». Sono in totale 171 le persone ora a bordo, salvate in due diverse operazioni.

E continuano gli sbarchi anche a Lampedusa, dove nelle scorse ore è tornato ad affollarsi l’hotspot di Contrada Imbriacola. In poche ore sono arrivate più di 500 persone sull’isola. E nuovi arrivi si attendono nelle prossime ore, per le buone condizioni meteomarine. Per la maggior parte si tratta di migranti partiti dalla Libia, che in questi primi mesi del 2024 si conferma la rotta principale verso l’Italia.

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