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Abusi in parrocchia, il vescovo Gisana rinviato a giudizio mette in difficoltà il Papa (che lo aveva difeso)

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La faccenda si sta facendo seria e rischia di mettere in grave imbarazzo persino Papa Francesco che, l'anno scorso, aveva difeso a spada tratta il vescovo siciliano, monsignor Rosario Gisana lodandolo pubblicamente: «Bravo, questo vescovo, bravo. È stato perseguitato, calunniato e lui fermo, sempre, giusto, un uomo giusto. Per questo, quel giorno in cui andai a Palermo, ho voluto fare sosta prima a Piazza Armerina, per salutarlo; è un bravo vescovo». Ma di fronte alle ultime decisioni dei magistrati del Tribunale di Enna di mandarlo a giudizio per falsa testimonianza su una bruttissima vicenda di abusi sessuali su un minore commessi da un prete da lui protetto e trasferito altrove nonostante la condanna a quattro anni dal giudice (dopo accurate indagini coordinate dalla Procura e condotte dalla Squadra Mobile di Caltanissetta e dal Commissariato di Gela) ha deciso di vederci più chiaro. Chi ha mentito, come sono andate le cose, chi ha informato Santa Marta inducendo il Papa ad esporsi per difendere Gisana?

Cosa è successo

Secondo quanto è affiorato in aula, durante il processo a don Giuseppe Rugolo, il sacerdote condannato in primo grado a quattro anni e mezzo per violenza su minori, la vittima aveva messo al corrente anche il vescovo delle violenze reiterate che aveva subito.

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Ieri i magistrati siciliani hanno annunciato che il vescovo sarebbe stato rinviato a giudizio, assieme al suo vicario giudiziale, don Vincenzo Murgano, attualmente parroco a Enna, per falsa testimonianza.

E oggi il Vaticano ha deciso di inviare immediatamente in loco un visitatore apostolico per svolgere un’indagine canonica parallela, relativa al comportamento che il vescovo e gli altri prelati coinvolti, avrebbero tenuto nell'ambito di questa vicenda. Il visitatore apostolico dovrà verificare se Gisana ha effettivamente mentito, come si evince dalle intercettazioni che erano state lette in aula durante il processo a don Giuseppe Rugolo: “Giuseppe non hai capito che ora il problema è anche mio, perché io ho insabbiato tutto”.

Chi è il vescovo Gisana

A mandare a giudizio il vescovo Gisana è stato il pm della Procura, Stefania Leonte, che ha ritenuto plausibili tutti gli elementi probatori. In pratica il vescovo e don Murgano sono accusati di avere mentito in aula durante il processo sull'offerta di denaro, circa 25 mila euro in contanti, che avrebbero proposto, secondo i magistrati, alla vittima in cambio del suo silenzio. Gisana e Murgano dovranno comparire davanti al giudice Maria Rosaria Santoni il prossimo 26 maggio. E' questo il primo vescovo italiano che andrà a processo sulla gestione di un caso di abuso 

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Resta in Vaticano l'imbarazzo profondo per una vicenda che investe inevitabilmente anche Papa Francesco. Con il motu proprio del 2016 Papa Francesco ha stabilito che i vescovi negligenti siano rimossi dal loro incarico. Spetta naturalmente ad una indagine canonica giudicare il loro comportamento. In pratica nel provvedimento è stato stabilito che, tra le “cause gravi” che il diritto canonico già prevede per la rimozione dall’ufficio ecclesiastico (di vescovi, eparchi o superiori maggiori), va compresa anche la negligenza rispetto ai casi di abusi sessuali. La decisione deve comunque sempre essere sottomessa all’approvazione del Pontefice.
 

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Nel caso di Gisana «ometteva con ogni evidenza qualsivoglia doverosa seria iniziativa a tutela dei minori della sua comunità e dei loro genitori – scrivono i magistrati - nonostante la titolarità di puntuali poteri conferiti nell'ambito della rivestita funzione di tutela dei fedeli, facilitava l'attività predatoria di un prelato già oggetto di segnalazione. Sarebbe stato doveroso da parte della autorità religiosa alla guida della diocesi non solo segnalare alle autorità religiosa queste denunce secondo le procedure esistenti nel diritto canonico ma ancora prima di precludere anche in via cautelativa a Rugolo di coordinare e gestire numerosi gruppi di giovani in attività ricreativa a sfondo religioso». Nessun controllo veniva così attivato a tutela dei ragazzi e di don Rugolo che commetteva impunemente abusi «sessuali ai danni di due giovani adolescenti, consapevole di poter contare sull'appoggio dei vertici religiosi che al contrario contribuivano a rafforzare all'esterno l'immagine di padre Rugolo quale esponente di spicco del clero locale». La conclusione della magistratura è lapidaria: «L'imputato e la curia vanno condannati a rifondere alle medesime parti civili le spese di costituzione e difesa».


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