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Almasri, l?incontro segreto tra Meloni e Mattarella. Premier al Colle prima del video-denuncia

1 settimana fa 1
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Martedì. Primo pomeriggio. Quirinale. Un’auto blu varca l’ingresso della residenza del Capo dello Stato. Dentro c’è Giorgia Meloni. La attende Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica. Non è una giornata qualunque. Sulla scrivania della premier, un’ora prima, due Carabinieri hanno lasciato una comunicazione d’iscrizione nel registro degli indagati, firmata dal procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi.

Due ore dopo, intorno alle 17, la presidente del Consiglio appare in un video registrato e dà la notizia: «Non sono ricattabile». Sfida a volto scoperto una magistratura che, ne è convinta, vuole intralciare il cammino del governo. In quelle due ore intanto è successo qualcosa. Un incontro segreto, tenuto tale da entrambe le parti e che Il Messaggero è in grado di rivelare.

MELONI AL COLLE

La premier decide di vedere in privato il presidente della Repubblica come primo atto di una serata al cardiopalma. Si confronta prima in una stanza con il sottosegretario Alfredo Mantovano, anche lui indagato per favoreggiamento e peculato, come indagati sono i ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio. Quando la mattina si reca al Colle per la commemorazione della Memoria al fianco di Mattarella, Meloni ancora non è a conoscenza dell’indagine a suo carico, come il resto dei ministri. Rimane spiazzata da quel foglio della procura sulla sua scrivania. Foriero di una fase di nuove tensioni tra politica e toghe. Sceglie a quel punto di tornare al Colle.

Vuole avvisare Mattarella dell’avviso di garanzia. Farlo prima di prendere qualunque altra decisione. Non è dato sapere cosa si siano detti durante il vis-a-vis. Riserbo assoluto, granitico da entrambe le parti, come prevede la grammatica istituzionale. E non è un caso se il Colle si attesta su un rigido no-comment nelle ore e nei giorni a venire, man mano che deflagra lo scontro tra centrodestra e un pezzo di magistratura.

Video

Tornata a Palazzo Chigi la premier riunisce lo staff, gira il video su sfondo blu in cui si rivolge agli italiani. «Ho ricevuto un avviso di garanzia», l’esordio mentre in mano stringe il foglio spedito da Lo Voi, con «distinti saluti». Pronuncia parole di fuoco la leader del governo. Spiega che non accetterà “ricatti”, è la promessa scandita due anni e mezzo fa, allora rivolta a Silvio Berlusconi. Un video duro, che apre una fase nuova. Il governo pronto alle carte bollate per difendersi da un’indagine «surreale», sotto il tiro delle opposizioni che invece lo accusano di aver liberato il “torturatore” libico Almasri contravvenendo alla richiesta di arresto della Corte penale internazionale.

Una premier indagata, come il Cavaliere nel 1994 a Napoli. Decisa ora a rispondere a tono a quelle toghe che, come va ripetendo ai suoi, «vogliono sostituirsi a chi ha ricevuto un mandato chiaro dagli elettori». Sono stati tre giorni di passione. Prima l’accusa in coro del centrodestra contro l’ «atto voluto» di Lo Voi, il procuratore che in queste ore invece in privato difende il suo operato, si dice sicuro di aver fatto «il suo dovere». Poi, mercoledì, una giornata interlocutoria, la scelta di affidare la difesa legale a Giulia Bongiorno, l’avvocato di ferro e senatrice della Lega che ha preso in carico il processo di Matteo Salvini per il caso Open Arms, chiuso con l’assoluzione a dicembre.

Una memoria unica da presentare al tribunale dei ministri: il governo fa quadrato, difende la scelta di rispedire Almasri in Libia su un aereo di Stato per ragioni di «sicurezza e interesse nazionale». Ma la prudenza dura poco. Ieri la nuova arringa della premier determinata a sfidare la magistratura, «gli italiani sono con noi». E suona quasi come una chiamata alle armi degli elettori, con lo sguardo già proteso alle urne, quando sarà, e a quel «consenso» che è un punto fisso per Meloni da quando è entrata nella stanza dei bottoni.

LA LINEA

Di certo non è disposta «a farsi logorare», come ripete da tempo ogni volta che percepisce l’ «assedio» di un pezzo degli apparati. Teme l’impatto d’immagine di quella indagine partita dai pm romani, atterrata su una copertina del Financial Times che ha letto e riletto negli scorsi giorni. Ma tira dritto. Separazione delle carriere di giudici e pm, subito, e se serve ben venga il referendum.Resta però dietro le quinte un filo diretto tra Palazzo Chigi e il Quirinale. Utile a contenere entro una linea rossa il confronto con una parte delle toghe. Di qui la scelta di avvisare Mattarella martedì, in quell’incontro segreto sul Colle più alto.

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