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Daniele Capezzone 24 gennaio 2025
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Alla fine rimarranno solo Sandro Ruotolo e Marco Furfaro. Per il resto, povera Elly, è l’ora di una malinconica solitudine: non c’è praticamente più nessuno che sembri prendere sul serio l’ipotesi di una Schlein premier, di una segretaria del Pd capace di costruire e guidare una coalizione credibilmente alternativa al centrodestra.
Soltanto nell’ultima settimana abbiamo notato e annotato alcune critiche ficcanti su Stampa e Repubblica, le bacchettate di Romano Prodi, sempre più insofferente nei confronti dell’inquilina del Nazareno, la presa di distanza – garbata ma politicamente durissima – di Luigi Zanda, il protagonismo di Paolo Gentiloni (che di tutta evidenza punta in prima persona al ruolo di federatore), più l’attivismo del gruppo cattodem Ruffini-Castagnetti-Delrio, che dalle parti di Schlein pensano di tacitare con un pacchetto di seggi sicuri nel listone del Pd del 2027, ma le cui ambizioni sono forse ben superiori.
Rispetto a tutti costoro, fino a ieri mattina, gli schleiniani di stretta osservanza reagivano usando un argomento dal loro punto di vista piuttosto robusto: gli altri esponenti del mondo dem – sostenevano – si muovono nel perimetro del palazzo, in una dimensione tutta politicista, mentre Elly è l’unica ad avere una presa sul paese reale, sui giovani, su spezzoni rilevanti di voto d’opinione progressista meno strettamente politicizzato.
Fino a ieri mattina, appunto, quando è arrivata la doccia fredda. Su Repubblica, infatti, è comparso un paginone di intervista alla cantante Elodie, che ricordavamo a Milano, l’estate scorsa, insieme alla Schlein sul carro del Pride. E proprio da un profilo come quello di Elodie gli schleiniani contavano di ricevere grandi soddisfazioni: antimelonismo spinto, dirittismo, insomma tutti gli ingredienti più congeniali alla dimensione movimentista di Elly.
E invece Elodie ha – metaforicamente parlando – tumulato la povera Elly. L’intervistatore, Malcom Pagani, la sollecita contro Meloni, ricordando una frase iperpolemica della cantante contro la leader di Fdi («Giorgia Meloni è un uomo del 1922»). E Elodie non si sottrae: «Lei sarebbe d’accordo. Meloni non si nasconde e non si offende».
Una volta presa la rincorsa, il giornalista incalza, sempre riferendosi a Meloni come bersaglio ostile. Domanda: «La voterebbe?». E qui arriva la risposta che spegne il sorriso degli amici della segretaria Pd: «Assolutamente no, così come non voterei per Elly Schlein che pure conosco e con la quale qualche volta ho parlato». Doppio schiaffo, insomma: non solo niente voto e niente endorsement, ma una sorta di equidistanza tra Elly e l’odiatissima Meloni.
Ma il peggio deve ancora arrivare: «Cosa le manca?», chiede l’intervistatore riferendosi a Schlein. E qui Elodie allinea e poi martella gli ultimi chiodi per sigillare la bara: «Carisma. E senza carisma è complicato farsi ascoltare. Quando le sento dire che considera il suo compito passeggero e sogna di fare la regista, perde forza e credibilità». E così abbiamo sistemato pure ciò che Elly considerava la sua forza: la dimensione non da politico professionale. Resta il tempo per un ultimo schiaffo. Domanda: «Meloni il carisma ce l’ha?». Risposta devastante di Elodie: «Ce l’ha, ce l’ha eccome. Ha frequentato la sezione e si vede che crede in quello che fa, ma io mi sento di sinistra».
Sbam. Certo, la cantante mette a verbale di militare nell’altra metà campo rispetto alla premier. Ma verso Meloni c’è un palpabile rispetto – pur nel dissenso-, mentre alla segretaria Pd si nega il dono del carisma e – diciamocelo – non si riconosce una statura tale da farne un riferimento, un’ispirazione, un’alternativa credibile alla leader di Fratelli d’Italia.
Capite bene che per Elly è una specie di Caporetto. Da un lato non la prendono sul serio quelli del palazzo, ma dall’altro non la riconoscono nemmeno coloro che dovrebbero essere più sensibili a una dimensione puramente movimentista. Estranei quelli che le siedono accanto alla Camera, e gelidi pure quelli che salivano con lei sul carro del Pride. La sensazione è che arrivare in sella al 2027 sarà un’impresa durissima.