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Antonio Rezza e Flavia Mastrella in "Hybris" al Teatro Carignano

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Redazione

28 maggio 2024 9:49

Martedì 4 giugno 2024, alle ore 19.30, andrà in scena al Teatro Carignano "Hybris", spettacolo scritto e diretto da Antonio Rezza e Flavia Mastrella, già vincitori del Leone d’oro alla Biennale di Venezia nel 2018. Antonio Rezza sarà in scena con Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli e con Maria Grazia Sughi. L’habitat è di Flavia Mastrella, il disegno luci di Daria Grispino, le luci e la tecnica di Alice Mollica. Assistente alla creazione Massimo Camilli.
Lo spettacolo, coprodotto dalla Compagnia Rezza/Mastrella, La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Sardegna Teatro e Spoleto Festival dei Due Mondi, resterà in scena per la stagione in abbonamento dello Stabile di Torino fino a domenica 9 giugno 2024.

Il nuovo lavoro di Rezza/Mastrella arriva al Carignano, portando con sé tutta la sua dirompente forza dissacratoria e innovativa. La loro folle e lucida scrittura scenica questa volta è incentrata su una porta – aperta e richiusa decine di volte durante lo spettacolo – che diventa qui la cesura tra un ambiente e l’anticamera di un altro mondo, o il filtro tra un Dentro astratto e un indefinibile Fuori, tra l’essere, l’esserci e un eventuale sarei. Un pastiche teatrale e linguistico accuratamente studiato e calibrato per apparire tanto disorientante quanto esilarante.

Come si possono riempire le cose vuote? È possibile che il vuoto sia solo un punto di vista? La porta… perché solo così ci si allontana. Ognuno perde l’orientamento, la certezza di essere in un luogo, perde il suo regno così in terra e non in cielo. L’uomo fa il verso alla belva. Che lui stesso rappresenta. Senza rancore. La porta ha perso la stanza e il suo significato, apre sul nulla e chiude sul nulla. Divide quello che non c’è… intorno un ambiente asettico fatto di bagliori. L’essere è prigioniero del corpo, fascinato dall’onnipotenza della sua immagine trasforma il suo aspetto per raggiungere la bellezza immobile e silente che tanto gli è cara.

Le gabbie naturali imposte dal mondo legiferano della nascita, della crescita e della cultura, ma la morte è come al solito insabbiata; ai bambolotti queste cose sembrano inutili sofferenze, antiche volgarità. La porta attraversata dal corpo, che è di cervello e profondamente pigro, si trasforma in un portale nel vuoto; al bordo del precipizio si può immaginare un mondo alternativo ma il bambolotto si lascia abitare da chiunque, di ognuno prende un pezzo, uno spunto, sicuro e consapevole di dare una direzione sua alle cose. La spina dorsale si allunga e si anima: finalmente si divide. Aprire la porta sulle altrui incertezze, sull’ambiguità, sull’insicurezza dell’essere e la meschinità dello stare. Chiunque sta in un punto, detta legge in quel punto. Ci si conosce sotto i piedi, nulla può durare a lungo quando due persone si incontrano esattamente dove sono: e dove stanno non si vede bene perché ci sono i piedi sopra.

I rapporti finiscono perché nascono sotto i calcagni, senza rispetto. Piccoli dittatori che fanno della posizione la loro roccaforte. Ma poi barcollano con una porta davanti gestita da un carnefice inesatto che stabilisce dove gli altri vivono. Non cambia molto essere un metro oltre o un metro prima, ma muta lo stato d’animo di chi sapeva dove era e adesso ignora dove andrà perché non sa da dove parte. Chi bussa sta dentro, chi bussa cerca disperatamente che qualcuno da fuori chieda “chi è?”. Bussiamo troppo spesso da fuori per tutelare le poche persone che vivono all’interno, si tratta di famiglie di due o tre elementi, piccoli centri di potere chiusi a chiave. Dovremmo imparare a bussare ogni volta che usciamo, perché fuori ci sono tutti, l’esterno è proprietà riservata, condominio esistenziale, casa aperta. L’educazione va sfoggiata in mezzo agli altri e non pretesa quando ci si spranga insieme al parentato.

La famiglia la sera chiude fuori tutta l’umanità, che senso ha accogliere il diverso quando ogni notte ci barrichiamo dichiarando l’invalicabilità della nostra dimora? Infimi governanti delle pareti domestiche, come le bestie. L’uomo diventa circense, domatore della proprietà privata.

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