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Il confine lo ha superato per primo il Regno Unito. Poi si sono esposti Francia, Germania, Polonia, Finlandia e una decina di altri Paesi della Nato. Fino a coinvolgere gli Stati Uniti, dove un duro dibattito sta spaccando l’amministrazione di Joe Biden. Non l’Italia però, che sulla possibilità per l’Ucraina di utilizzare le armi occidentali per attacchi missilistici mirati in territorio russo si dice tutt’altro che favorevole. «Non manderemo neanche un soldato italiano a combattere in Ucraina perché non siamo in guerra con la Russia, e non è previsto che il materiale inviato possa essere usato oltre il confine russo» è lo stop perentorio infatti pronunciato a Venezia dal ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani, a margine dell'apertura del Salone nautico. A lui fa eco poi la premier Giorgia Meloni, in diretta sul sito del Corriere: «Credo non sia necessario, è meglio rafforzare la capacità di dotare l'Ucraina di sistemi efficaci di difesa anti-aerea, un lavoro fatto anche dall'Italia con i Samp-T, senza rischiare un'escalation fuori controllo».
L’ESECUTIVO
Anzi fonti governative lasciano intendere come lo slancio franco-tedesco di ieri sia in realtà da considerarsi una mossa «sostanzialmente elettorale di due leader in difficoltà» e che «nei fatti la Nato non potrà autorizzare questa iniziativa con le modalità da loro richieste». A meno che, e qui sta tutta la differenza del mondo che andrà ben ponderata già alla ministeriale Esteri informale di Praga di oggi, non si voglia applicare condizioni parecchio restrittive alla possibilità, magari al punto da renderla solamente una mossa di deterrenza. In altri termini dovesse trattarsi di autorizzare l’impiego di missili Nato sulle razziere russe pronte al fuoco nei territori della Crimea (annessa unilateralmente dalla Russia) il “veto” italiano potrebbe anche vacillare. Fosse solo per evitare di trovarsi eccessivamente isolati all’interno del blocco atlantico. «Ma non accadrà» garantiscono le stesse fonti.
D’altro canto questo allargamento di vedute e possibilità nelle mani di Volodymyr Zelensky è, per motivi uguali e opposti a quelli di Emmanuel Macron e Olaf Scholz (come peraltro dimostrano le dichiarazioni di Elly Schlein di ieri sull’ipotesi), molto in dissonanza con l’interesse attuale del governo. In altri termini, l’obiettivo minimo potrebbe essere quello di rimandare almeno a dopo il voto europeo dell’8 e il 9 giugno. Magari lasciando che la decisione finale scivoli a margine della conferenza di Pace che si terrà in Svizzera il 16 e 17 giugno, subito dopo il G7 e con la partecipazione già confermata degli Stati Uniti.
Quello bellico è infatti un tema caldissimo per un certo elettorato e anche all’interno del Parlamento. Lo dimostra pure la bagarre di ieri a Montecitorio durante il question time del ministro della Difesa Guido Crosetto. Intervento in cui l’esponente di Fratelli d’Italia, nel rispondere provocatoriamente all’incalzare dei cinquestelle, non ha escluso di poter arrivare a desecretare una parte dei pacchetti di armi inviati da Roma a Kiev. «Sto pensando di fare come fanno alcune nazioni, che non hanno secretato il tutto ma parte - ha attaccato il ministro - Sto pensando di arrivare a questo punto, così da cambiare quelle regole che, forse sbagliando, voi avete fissato (il riferimento è al governo di Mario Draghi, sostenuto dal Movimento) e alle quali mi sono rigorosamente attenuto». Un possibilismo dettato però appunto dal fatto che il deputato Francesco Silvestri, componente del Copasir, sarebbe già a conoscenza del dettaglio chiesto in Aula. «Tutte le cose che lei mi ha chiesto - ha detto Crosetto - le sa perché le ho risposto al Copasir. Ha l'elenco dei materiali, i caveat e tutto ma lei, come me, è vincolato dal segreto e non può parlare».
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