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Era stato arrestato quando i carabinieri avevano scoperto davanti alla sua casa un campo con 370 piante di marijuana. Erano nel pieno della fioritura. Alte quasi quanto i militari, rigogliose e di un verde florido. Grazie, forse, alla buona qualità dell’aria di Lanzo Torinese.
Ivan Airola, 48 anni, rocciatore esperto nel sistemare le reti di protezione sui sentieri di montagna, era rimasto basito da quell’irruzione. Si era da subito difeso: «Non spaccio. È per uso personale». In camera da letto aveva 23 grammi di hashish. Nel ripostiglio 109 foglie secche di cannabis. Tanto bastava per finire in cella. Era il 30 luglio 2019. Un giorno nero per lo scalatore, che prevedeva un destino drammatico. Poi, tutto è cambiato. La previsione infausta degli eventi è stata ribaltata dal tribunale di Ivrea, che ha assolto l’imputato - difeso dall’avvocato Gianluca Visca - dall’accusa di detenzione di droga ai fini di spaccio. Perché «il fatto non costituisce reato». La sostanza «è una scorta per utilizzo personale», scrive la giudice Antonella Pelliccia. Una scorta necessaria «vista anche la prescrizione medica», precisa.
«Mi hanno tolto un rene dopo un brutto incidente in moto nel 2015», ha raccontato in aula l’imputato. «Dopo l’operazione sono stato costretto a fumare marijuana ogni giorno per tollerare il dolore. Andavo a comprarla a Torino. Poi ho deciso di iniziare a coltivarla».
Fondamentale è stata la testimonianza del medico di Airola, che ha dichiarato: «Ha bisogno di una terapia farmacologica antidolorifica. Ma l’abuso di anti-infiammatori può comportare effetti indesiderati gravi in un paziente con patologie renali». In aula si scopre così che era stato il dottore a prescrivere ad Airola «una terapia a base di resina e infiorescenze di cannabis sativa». Con delle dosi robuste: «Cinque o sei somministrazioni serali da 350 milligrammi cadauna ad alto tenore di Thc, oltre all’assunzione di cannabis medicinale ad alto tenore di Cbd».
È in quel periodo che il rocciatore decide di cambiare lavoro. «Il mio era troppo faticoso. Pensai così di dedicarmi alla coltivazione della canapa sativa». L’assoluzione fa leva anche su questo punto. La legge del 2016 consente la coltivazione a scopi agroalimentari e tessili.
D’altronde, se Airola, come scrive la giudice nelle motivazioni della sentenza, «aveva un fabbisogno medio mensile corrispondente a 508 dosi singole» , la strada dell’auto produzione pareva essere, anche da un punto di vista economico, l’unica percorribile.
Secondo il tribunale Airola avrebbe fatto di tutto per agire nella più totale trasparenza. Fino a presentarsi in caserma, annunciando: «Vi avviso che sto per coltivare un campo di marijuana». Non solo. Le ricevute dell’acquisto dei semi sono state prodotte. E sarebbe stata avvisata persino la Coldiretti. L’imputato aveva anche creato una chat di gruppo per condividere informazioni con amici e appassionati. «Come coltivare cannabis in maniera legale», il nome. Obiettivo raggiunto. Con 370 piante, 45 dosi di hashish trovate in camera da letto e 109 foglie nello sgabuzzino, Airola ha convinto il tribunale che sì. Sì può fare.