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Finisce che la speranza è una nave all’orizzonte. Arranca, armata di fretta, con i rematori stremati, timorosi di non riuscire nell’impresa. Arranca ma c’è e, quel che conta, nella scena finale ce la farà.
Il gioco delle vite parallele portato in scena da Alessandro Baricco in Atene contro Melo, da Tucidide, è esplicito, dichiarato e per questo dirompente. Fin dalla trama: uno stato grande e potente ne aggredisce uno più piccolo che non vuole accettare di sottomettersi. Facile no? Per nulla. Perché nel caso di Tucidide l’aggressore è l’Atene di Pericle, la patria stessa della democrazia. Gli aggressori siamo noi, «sono i nostri padri, quelli che portiamo come esempio ai nostri figli a scuola». Fanno cose orribili. Schiacciano un popolo non perché li voglia attaccare ma perché vuole la pace e non vuole fare la guerra contro Sparta. Ma si può volere la pace quando c’è la guerra? Non c’è anche in quel desiderio di pace un segno di arroganza? I greci la chiamano “ubris”, supponenza: è lecito rifiutarsi di combattere quando migliaia di uomini e donne rischiano la vita nella guerra? Ascolti il testo di Tucidide e ti sembra di guardare il tg.
Il teatro è quello antico di Taormina, al tramonto, con il mare alle spalle della scena. Mai come questa sera il contenitore è il contenuto. Sembra di vederle arrivare all’orizzonte le triremi di Atene, pronte a distruggere l’arroganza di Melo, l’isola che sulle guide turistiche identifichiamo con la Venere del Louvre, scolpita mentre consegna a Paride il pomo della discordia e di un’altra guerra.
Il dialogo tra gli ambasciatori ateniesi (Valeria Solarino) e i rappresentanti di Melo (Stefania Rocca), è al tempo stesso un piacere estetico e intellettuale e una terrificante lezione sul potere, la democrazia, i rapporti tra i popoli. Pace e giustizia sono l’una contro l’altra: l’unico modo per ottenere la pace è accettare l’ingiustizia. Le triremi sono lì, a rendere concreta la minaccia. Trentotto navi, Atene e la sua alleanza: la lega Delio-Attica, patto un tempo difensivo per combattere i persiani, che si trasforma nello strumento dell’imperialismo della polis democratica. Sullo sfondo del teatro di Taormina fa nuovamente capolino lo schermo del tg. Baricco esplicita: «La cosa più simile alla lega Delio-Attica oggi è la Nato». Atene non può accettare la secessione pacifista di Melo perché sarebbe un pessimo esempio per gli altri sudditi. C’è una frase terribile degli ateniesi che riassume il concetto: «La vostra amicizia ci danneggerebbe più di quanto possa fare il vostro odio». Quella che noi oggi chiameremmo ragion di Stato.
Duemilacinquecento anni dopo il gioco dei parallelismi è uno specchio rovesciato. La Russia di Putin non è Atene, semmai è Sparta, la polis degli oligarchi. Negli ultimi cinquant’anni i popoli europei hanno cercato di uscire dall’influenza di Mosca e di aderire alla Nato. In fondo per noi occidentali questo rovesciamento rispetto all’antichità è più rassicurante. Perché l’arroganza della democrazia raccontata da Tucidide è un pugno nello stomaco. Qui, tra noi europei, quasi inconcepibile. Tra i popoli sudamericani, per fare un esempio, molto meno. Il dialogo tra gli ambasciatori si conclude con la rottura. Atene sa che nemmeno Sparta salverà la città.
Le triremi sbarcarono: gli uomini di Melo furono trucidati, donne e bambini ridotti in schiavitù. Nell’isola furono portati 500 ateniesi: la russificazione del Donbass. A sottolineare il massacro le musiche di Giovanni Sollima e il rombo degli archi dei 100Cellos diretti da Enrico Melozzi. Le vedi di fronte a te le grida dei soldati, il disperato tentativo di salvarsi dei braccati, il sangue nelle strade. Scene dell’epoca di Tucidide ma anche quelle dello stadio di Santiago, le urla delle madri di Plaza de Maio, il rombo dei voli della morte che si alzano verso il mar del Plata.
Poteva finire così? «Non poteva. Nel mio lavoro cerco sempre di dare una possibilità alla speranza». Baricco parla nel camerino, al termine di uno spettacolo che ha entusiasmato il pubblico del Taobuk festival. Uno spettacolo teatrale prodotto direttamente da Holden Studios, economicamente una scommessa ma anche l’inizio di una nuova avventura: la prossima replica l’11 settembre all’auditorium parco della Musica di Roma. Perché anche le date sono simboli. È la prima volta che lo scrittore fa da voce narrante dopo i mesi difficili della malattia. Come hai ridato una chance alla speranza? «Sempre Tucidide racconta che, dieci anni prima della distruzione di Melo, Atene, in grande difficoltà per la peste, riuscì a conquistare Mitilene, sull’isola di Lesbo, che si era ribellata ed era passata con Sparta». Il comandante ateniese mandò un’ambasceria in patria chiedendo che cosa avrebbe dovuto fare degli abitanti. In risposta venne mandata una prima nave con l’ordine di massacrare tutti, come sarebbe successo dieci anni dopo a Melo. Poi l’assemblea ateniese si riunì una seconda volta, cambiò idea, e mandò una seconda nave per fermare la prima.
La seconda nave inseguì a fatica la prima, che attraversava sicura l’Egeo da Atene a Lesbo. La triremi della coscienza inseguì quella dell’istinto. La raggiunse in extremis nel porto di Mitilene. E la bloccò. Dice Baricco: «La seconda nave portava un’idea più dolce di mondo. Mi piace pensare che quella seconda nave siamo noi, l’Occidente che vogliamo. Che commette errori anche gravi ma ha un pregio: è capace di ripensarci». Mitilene venne prima di Melo. Perché gli errori, anche quando sappiamo correggerli, sono sempre in agguato.