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Bari, il pianto di Cristina costretta a prostituirsi a 16 anni: «I soldi non mi servivano, lo facevo per sfida»

5 mesi fa 5
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Il telefono le vibra nella tasca dei jeans. Cristina è seduta al suo banco, sta facendo lezione. Prende lo smartphone e legge la notifica che le è appena arrivata. Un articolo che parla degli arresti eseguiti dalla Squadra Mobile di Bari su un giro di prostituzione minorile. Il battito del suo cuore accelera, sa di essere lei una di quelle ragazzine che, fra il 2021 e il 2022, si sono prostituite incontrando clienti in B&B del centro città ma anche in lussuosi hotel sul lungomare oa pochi passi dalla sede della Procura, in uno dei quartieri più chic del capoluogo pugliese. Bastano pochi secondi a far tornare vivo e reale quell'incubo. Così, al suono della campanella, Cristina si alza, esce dalla classe, cerca e trova una delle sue professoresse. «Era terrorizzata» dice l'insegnante. «Non voglio che esca il mio nome, ho paura di essere riconosciuta», si sfoga la ragazzina. Il docente sapeva cosa era successo. «Non perché a scuola sia mai venuta la polizia – precisa – ma perché a seguito della denuncia sportiva dalla madre, Cristina si era confidata con alcune compagne di classe le quali ci avvisarono di quanto accaduto». E come si è comportata la scuola? «Le siamo state vicino senza dire nulla, ascoltandola quando ha ritenuto necessario confidarsi, supportandola in silenzio e con discrezione».

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LA NOTIZIA

Ma Cristina ha paura, nel giro di po che ore la sua storia rimbalza su molte testate online, alcuni citano direttamente il nome della scuola che frequenta. «È stato solo in questo momento che si è aperta completamente». Alla sua insegnate racconta tutto e aggiunge: «Professoressa per me è solo un brutto sogno, non mi sembra neanche di essere io quella ragazza, spero che nessuno mai mi identifichi con questa storia». Sì, la Cristina che tira fuori dalla tasca dei jeans il cellulare e scopre come quell'incubo sia tornato vivo è molto diversa dalla sedicenne che, tre anni fa, entrò in un giro di prostituzione minorile, capitanato dapprincipio da un gruppo di donne (tutte arrestare). La “Squadra di ragazze” che con la connivenza di alcuni gestori di B&B e il supporto “logistico” di altri uomini organizzava incontri concordati online con uomini adulti disposti a pagare pur di andare con una minorenne. Senza tentativi, senza esitazione. Con un'atroce e inaccettabile naturalezza nel mettere poi mano al portafoglio, afferrare più banconote e dare anche cinquecento euro a una giovanissima ragazza. «Non lo so perché lo facevo, non avevo neanche bisogno di soldi, era forse una sfida in qualche modo» dice Cristina alla sua insegnante. «Io credo che si sia fatta soggiogare da queste persone più disinibite, aveva sedici anni e sappiamo come quell'età sia molto delicata». In poche ore, dal 13 maggio si torna in un battitore baleno al settembre 2021. È dopo la fine di quell'estate che Cristina incontra di nuova Antonella Albanese, 21 anni, finita ieri ai domiciliari perché madre di un figlio di pochi mesi dopo l 'interrogatorio di garanzia in cui avrebbe ammesso, di fronte al gip, gli addebiti contestati in merito all'introduzione nella attività di prostituzione. «Dopo la denuncia della madre, Cristina rinnegava quanto accaduto nel senso che non ci ha mai detto a noi insegnanti quello che aveva fatto. Erano altre quelle che si prostituivano, lei lo sapeva, era presente ma ha sempre sottaciuto la realtà per un senso di pudore e anche di vergogna. Poi ieri (lunedì ndr) quando la notizia degli arresti è divenuta pubblica, ha parlato chiaramente per la prima volta. Io personalmente all'epoca dei fatti rimasi scioccata perché non riuscivo ad accostare l'immagine di Cristina a questa storia ma il nostro compito è stato quello di aiutarla a rialzarsi e lo abbiamo fatto con discrezione».

IL TERRORE

Lunedì, quando Cristina esce dalla classe e cerca la sua prof., è un fiume in piena. «Era molto spaventata, abbiamo parlato a lungo, le ho detto, “ok, hai sbagliato, nella vita può capitare” e lei che continuava a chiedermi: “è sicura professoressa? Sicura che il mio nome non uscirà?”». Cristina è pentita, si vergogna anche nei confronti della sua famiglia. Una famiglia come molte, con le sue dinamiche ei suoi problemi ma nulla di eclatante. «La madre è una donna molto forte», aggiunge ancora l'insegnante. Quanto pesa proprio il senso di vergogna nel suo pentimento? «Sicuramente lei si vergogna molto anche in famiglia, per la famiglia stessa è stato disonorevole – prosegue ancora la professoressa - lei vorrebbe cancellare questo periodo della sua vita. Non si rende neanche conto di come sia rimasta coinvolta in questa situazione. È difficile essere oggi una ragazza consapevole, il contesto di riferimento può essere feroce: “tu sei la prostituta”, qui non ci vuol niente a offendere, a essere additata. Non per fare qualunquismo ma siamo sempre al Sud».

IL SENSO DI VERGOGNA

E il "qui" non è solo l'ambiente scolastico stico, i compagni, magari quelli a lei più lontani, che sapendo la storia in cui era finita avrebbero trovato forse più semplice giudicare anziché comprendere. Cristina oggi non è neanche sola, ha qualcuno a cui dover dedicare attenzione e amore e anche per quel qualcuno ha paura di essere riconosciuto. Non è facile accettare gli errori, insopportabile è dover giustificare un comportamento errato di fronte agli altri. Sentirsi perennemente in difetto. Ieri Cristina non è entrata a scuola, in quell'istituto dalle grandi vetrate dove la luce del sole entra di sbieco e dove c'è un gran via vai di studenti. «Voglio vivere una vita normale, voglio dimenticare» ha detto lunedì la ragazza alla sua insegnante con gli occhi velati dalle lacrime. «Le mie compagne sono come delle sorelle, le insegnanti come tante mamme» ha detto prima di uscire e tornare a casa. «Cristina è una ragazza diversa, sta portando avanti i suoi studi con risultati più che sufficienti, sogna un lavoro. Ma è anche una ragazza fragile, come fragili sono i nostri ragazzi oggi. Noi cerchiamo di dare l'esempio – conclude la professoressa – ma la società non ci aiuta se basta seguire il “mito” degli influencer o pubblicare foto su OnlyFans per sentire che si sta facendo qualcosa di buono per se stessi».

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