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Beirut bombardata da Israele, giallo sulla sorte di Nasrallah: il raid con i jet (partiti dalle basi del Golan) sul quartier generale di Hezbollah

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Questa volta l’obiettivo era l’uomo solo al comando di Hezbollah: Hassan Nasrallah. A tarda sera ancora non ci sono notizie sulla sua sorte, se sia stato raggiunto dalla bomba di profondità usata dai caccia dell’Israel Air Force. A Beirut qualcuno prega, in Israele cresce la sensazione che il leader sciita possa essere stato effettivamente colpito ma l’unica notizia - ancora da confermare - è che nel raid sarebbe rimasta uccisa la figlia. All’imbrunire nel cielo sopra il quartiere di Dayie un’alta colonna di fumo nero sovrasta i palazzi e corre verso il resto di Beirut. Da poco è terminato il duro discorso di Netanyahu all’Assemblea dell’Onu in cui promette di continuare gli attacchi a Hezbollah, quando dalla sala sotterranea di comando dell’Iaf il ministro della Difesa Gallant insieme ai capi di Stato maggiore dell’esercito Herzi Halevi e il capo dell’Aviazione Tomer Bar danno il via libera all’operazione che mira al quartier generale dell’organizzazione terroristica sciita Hezbollah nella zona meridionale della capitale libanese dove il capo dell’organizzazione stava pianificando - secondo fonti israeliane - un attacco contro lo Stato ebraico. Dell’operazione non sarebbe stata informata l’amministrazione americana.

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Il piano

Una fonte vicina all’organizzazione terroristica ha detto all’agenzia francese Afp che l’uomo a cui Israele dà la caccia da anni è vivo e sta bene. Insieme a questa palazzina nel raid sarebbero stati colpiti da una decina di ordigni altri sei edifici. E, a sera, la scena è quella vista tante altre volte nei giorni scorsi, da quando sul fronte il conflitto è divampato furiosamente. Piccoli roghi ancora attivi, cumuli di macerie e di tondini di ferro aggrovigliati. Nel quartiere, considerato una roccaforte sciita, il traffico è impazzito e il suono dei clacson e delle sirene non concede tregue. Al portavoce dell’esercito israeliano contrammiraglio Hagari il compito di illustrare l’azione: «L’8 ottobre Hezbollah, guidato da Nasrallah ha iniziato una guerra e da allora ha peggiorato la situazione. Israele li aveva avvertiti, ma loro hanno continuato l’aggressione contro i nostri cittadini e la nostra sovranità. L’Aeronautica continua a colpire obiettivi terroristici per ridurre la loro capacità». Il quartier generale è stato costruito volutamente - dice Hagari - sotto edifici residenziali come parte della strategia di mimetizzarsi e usare i cittadini come scudi. L’ultima apparizione di Nasrallah risale a oltre una settimana fa dopo l’inizio della campagna, aperta con l’operazione del Mossad sui cercapersone e poi sul walkie-talkie che ha distrutto il sistema di comunicazione voluto dallo stesso capo supremo, a cui è seguita l’eliminazione di quasi tutta la linea di comando, lasciando solo Nasrallah alla guida dell’organizzazione. 

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Il leader

La sua è la storia di una militanza antica, cominciata a soli 15 anni, quando entra nel movimento Amal che lascia nell’ 82 per aderire a Hezbollah. Uno dei suoi cinque figli è stato ucciso in uno scontro a fuoco con le forze israeliane nel 1997 nel sud del Libano. Da capo dell’organizzazione ha avuto sempre una cura maniacale della propria sicurezza: si dice che cambi continuamente dimora, che spesso abbia stabilito il suo rifugio tra le montagne e che, ossessionato dai rischi di essere intercettato, abbia imposto proprio lui l’uso dei cercapersone e dei walkie-talkie considerandoli meno permeabili. Su di lui sono ricadute tutte le decisioni e il compito di rimpiazzare i 16 comandanti uccisi in operazioni mirate, a cominciare dal responsabile della unità di élite Radwan, Ibrahim Aqil, fino al responsabile dei droni Mohamed Hossein Sarur, l’ufficiale delle milizie che manteneva anche i contatti operativi con gli Houthi. E non è un caso che il gruppo yemenita ieri si sia reso responsabile del lancio di un missile indirizzato a Tel Aviv, ma intercettato dal sistema Arrow, di un drone verso la città costiera di Ashkelon e di alcuni missili contro cacciatorpediniere americane nel Mar Rosso.

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La diplomazia

In questo crescente quadro di guerra continua ad andare avanti tra mille difficoltà il piano di tregua di tre settimane proposte da Stati Uniti e Francia con l’appoggio di dieci Paesi occidentali: piano che il ministro degli Esteri israeliano ha bocciato costringendo Netanyahu ad una parziale correzione: «Apprezziamo gli sforzi Usa perché il loro ruolo è indispensabile per garantire la sicurezza e la stabilità». Poco prima il consigliere americano per la Sicurezza Kirby non aveva nascosto la propria irritazione. «Non avremmo pubblicato la nostra proposta - ha detto - se non fosse stata prima supportata dalle conversazioni con alti funzionari israeliani».
Il presidente francese Macron si dice convinto che la posizione israeliana di chiusura non sia definitiva. Il ministro degli Esteri italiano Tajani rinnova l’invito ai lavoratori presenti a lasciare il Paese.

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